giovedì 27 novembre 2014

Lo Yoga suddivide la mente in quattro parti, a seconda delle funzioni svolte da ciascuna: Manas, Chitta, Ahamkara e Buddhi.


Si andrà ora a fare un' approfondimento sulla mente, facendo un'analisi psicologica dal punto di vista dello Yoga e cercando di fornire anche dettagli pratici su come sia possibile guidarla "scientificamente" per i giusti scopi, per la ragione, cioè, per cui fu concepita. Rifacendoci al capitolo in cui Sri Yukteswar illustra e spiega la Creazione, si noterà che esiste un punto in cui viene descritta la mente. Osservando il disegno essa si trova esattamente nel punto in cui originano le due forze "elettriche" di attrazione e repulsione, situata già nel regno delle "tenebre" (Maya), poiché è posta al di sotto dell' Atomo (Anu) il cui insieme costituisce appunto Maya, e "prigioniera" nella gabbia formata dallo spazio e dal tempo (Desa e Kala).
Questo spiega abbastanza chiaramente la natura "vorticosa" della mente stessa da cui non è difficile dedurre perché sia così arduo controllarla. Una attenta osservazione del genere umano e dei suoi comportamenti porterà alla facile conclusione di come molti siano gli individui guidati dai loro sensi e dalle loro menti e di come, in sostanza, non siano loro stessi a prendere le decisioni ma qualcos'altro. Il risultato di questo processo è che spesso gli esseri umani sono cagione dei propri guai, guai che essi stessi si sono auto-creati a causa di una mala-interpretazione, quando non di una ignoranza completa, del "fattore" che dovrebbe invece servire a liberarli e non ad imprigionarli in ulteriori complicazioni. Per cominciare la disamina della mente e delle sua parti credo sia utile iniziare richiamando l'attenzione su un fattore importante nel cammino dello Yoga in generale: l'Osservatore o il Testimone. Chi è costui ? Chiunque abbia conseguito l'Auto-Realizzazione dirà certamente che è il "Sé", l'Anima, Ciò che siamo veramente. Ma anche altri, che ancora sono in cammino e ne hanno già percorso un certo tratto diranno la stessa cosa, essendo "Quella" la meta che stanno perseguendo. Probabilmente una terza categoria di persone, quelle che continuano a "nuotare" nel mare delle "percezioni sensorie" senza sentire la necessità di "guardare oltre", potrebbe dare risposte più incerte e variegate. Consapevole del fatto che queste ultime affermazioni potrebbero sollevare mille ragionevoli obiezioni, tengo a precisare che non è mia intenzione fare una distinzione su base verticale di chi è più bravo o avanzato e di chi invece lo è meno; non è questo il senso dello Yoga. Ognuno di noi è in cammino, che lo voglia o no, che lo ammetta o meno. La Vita è un interrogativo grande, ed il fatto di non porsi la domanda, benché possa essere una risposta, non è certamente la sola opzione possibile. Chi intraprende la via dello Yoga ha certamente un' interrogativo a cui sente il bisogno di dare una risposta, altrimenti non sceglierebbe una via così "stretta" ed impervia.
Come potremmo dunque definire questo "silenzioso" Testimone ? A me piace definirlo come Colui che osserva tutto quello che noi facciamo. Quel "Colui" altri non è che noi stessi. Quel "Colui" che è il solo in grado di testimoniare come corpo, respiro, sensi e mente operano, assieme e singolarmente. Nello Yoga questo "Colui" è chiamato l'Atman, il Sé, ed è la ragione degli sforzi, delle rinunce e della disciplina a cui lo yogi si sottopone. Si potrebbe darne un'immagine pratica paragonandolo, ad esempio, al mozzo di una ruota che rimane fermo mentre questa gira soggetta alle varie forze che agiscono su di essa, oppure anche alla luce riflessa sulla ruota che emana da un punto fermo, esterno ad essa, come nella figura sottostante. I vari colori mutano la tonalità della luce riflessa che tuttavia rimane fissa nello stesso punto nonostante la rotazione.

L'Atman, come si è già detto nella sezione riguardante i sensi, nelle vesti della coscienza opera attraverso Sahashrara, il settimo chakra, provvedendo a fornire l'energia necessaria alla mente per operare e, secondo le necessità, agli altri cinque chakra per mezzo della batteria di energia rappresentata dal midollo allungato o Bocca di Dio. La mente, a sua volta, opera attraverso il Kutastha, il sesto chakra, il quale è sperimentato nel centro tra le sopracciglia; è il centro di coordinamento dei cinque chakra sottostanti, che in definitiva dipendono da esso. Nel Kutastha quindi, la mente è, sia il contenitore delle informazioni di conoscenza importate dalle cinque porte di entrata degli organi dei sensi ( Jnanendriya ) e delle loro controparti fisiche, sia il coordinatore delle istruzioni date ai cinque organi di azione ( Karmendriya ) ed alle loro controparti fisiche. Riprendendo l'esempio della nostra ruota potremmo quindi paragonarla alla mente, che gira avanti e indietro soggetta all'azione del mondo. Lo Yoga suddivide la mente in quattro parti, a seconda delle funzioni svolte da ciascuna: Manas, Chitta, Ahamkara e Buddhi. Si procederà ora ad analizzare singolarmente ciascuna di queste componenti.

Le quattro menti: Manas, Chitta, Ahamkara e Buddhi
Manas è la forma di mente "più bassa". E' quella che, come descritto sopra, interagisce con il mondo esterno coordinando i sensi di azione in uscita e percependo le sensazioni cognitive in entrata. E' anche la forma di mente che pone dubbi e domande e che può causare grandi difficoltà se esercita un predominio eccessivo. Svolge un ruolo simile a quello di un coordinatore in una fabbrica; dirige gli operatori ma non è preposto a prendere decisioni. Come si vedrà più avanti è la parte rappresentata da Buddhi quella che dovrebbe prendere le decisioni, ma spesso questa parte è offuscata di modo che Manas, secondo la sua natura, continua a porre domande cercando risposte soddisfacenti. Se non le ottiene diviene incline ad ascoltare quella fra le altre parti che grida più forte, che di solito sono le informazioni accatastate nel grande magazzino di Chitta, quali i vari voleri, desideri, attrazioni e repulsioni.
Tutto quanto entra nella mente tramite le cinque porte di entrata (ogni sorta di percezione sensoria, impressioni ed esperienze) viene immagazzinata nel grande contenitore di Chitta; è la riserva da cui si attingono le informazioni del passato ed in cui vengono continuamente immagazzinate quelle nuove. Come ogni grande piattaforma di stoccaggio è bene che sia tenuta in ordine il più possibile onde evitare grande confusione o dimenticanze quando si deve ripescare qualcosa oppure, cosa peggiore, che la grande quantità di dati sparsi qua e là comincino a sorgere spontaneamente fornendo a Manas i comandi errati con cui interagire col mondo esterno. E' la parte che viene usata quando si agisce impulsivamente, senza riflettere più di tanto. La funzione di Chitta è quindi molto utile in quanto ci permette di conservare la memoria delle cose, ma deve essere coordinata con le altre parti onde evitare, come abbiamo visto, azioni d'impulso di cui ci si potrebbe pentire.
Ahamkara, l'Ego individuale, è quella forma di mente che dà il senso di esistenza, in sostanza " l'Io Sono ", che si percepisce come una distinta, separata unità. Dà sì il senso di identità ma al contempo è in grado di creare anche sentimenti di separazione, dolore ed alienazione. Quando la luce dell'Anima, come nell'esempio della ruota in movimento più sopra, assume le colorazioni di questi sentimenti negativi, si identifica con essi dimenticando di essere la pura luce che emana da fuori. Ahamkara è l'onda impetuosa che dichiara: "Io Sono". Questa onda talvolta entra in combutta con le impressioni presenti nella Chitta, facendo sì che queste assumano diverse "colorazioni" o klishta (paura, avversione, attaccamento, egoismo, o ignoranza della vera natura dell'uomo) oppure altre volte con Manas che risponde facendo sorgere i vari desideri di questa individualità separata, guidando quindi l'individuo verso il loro soddisfacimento. Tutto questo mentre Buddhi, l'aspetto più profondo della mente che sa, decide e discrimina, rimane offuscato dietro una coltre di nubi. Per questo nello Yoga si dice che purificare Buddhi è il compito più importante nell'arduo lavoro di controllare la mente, tappa necessaria nel cammino della meditazione verso l'Auto-Realizzazione.
La radice della parola Buddhi, Bhud, significa "uno che è stato svegliato". Buddhi si configura come l'aspetto più alto della mente, la porta verso la saggezza interiore, ed è quello che la capacità di decidere e giudicare giustamente. Compie altresì discriminazioni e differenziazioni cognitive ed è in grado di determinare sempre la più saggia tra due o più scelte disponibili, se funziona con chiarezza e se Manas accetta la sua guida. Nella fabbrica della vita Buddhi dovrebbe sempre essere quello che prende le decisioni, altrimenti Manas prenderà le istruzioni dagli schemi delle abitudini immagazzinate nella Chitta che, come si è visto poc'anzi, prendono colore da Ahamkara, l'Ego. Sono proprio tutte queste abitudini, metaforicamente colorate dai vari sentimenti, e le varie impressioni che spesso offuscano la chiarezza di Buddhi. Lo Yogi ha quindi il compito, nella sua sadhana o pratica spirituale, di togliere le nubi che avvolgono il proprio Buddhi di modo che la chiara visione che ne deriva lo possa guidare verso le scelte giuste che portano a cogliere i frutti della pratica spirituale. Tuttavia Buddhi è sempre e comunque parte della mente che lo yogi deve trascendere per arrivare al suo traguardo. Furono infatti i più sottili aspetti di Buddhi che agli inizi incominciarono a vedere la divisione dove invece c'era unità. La difficoltà risiede quindi nel discriminare tra Buddhi, strumento stesso della discriminazione e della profonda esperienza della meditazione, e la pura coscienza che va al di là di esso; questo è uno degli stadi ultimi del cammino.
Interazioni tra le quattro menti
Prima di arrivare a determinare le azioni pratiche da porre in atto per tentare il controllo della mente occorre ancora, a mio avviso, fare qualche puntualizzazione riguardo ad alcuni dei quattro fattori e delle loro interazioni. Intanto la scomposizione che viene fatta nei quattro fattori sopra citati è solo una questione analitica che ci facilita in questo arduo passo, ma la mente è e rimane una sola; Patanjali afferma infatti nei suoi Yoga Sutras - 4,20 - "Se potesse esistere un'altra mente per percepire la mente, si svolgerebbe un processus ad infinitum che potrebbe generare confusione di memoria". La mente è quindi una sola ed i quattro fattori, o meglio le interazioni mentali che avvengono tra le varie funzioni che essa espleta, sono quanto si deve arrivare ad osservare e discriminare per una piena e serena testimonianza di essa. Ne deriva quindi la consapevolezza e l'accettazione di tutti i suoi processi basilari di funzionamento su cui porre le basi per le azioni, interiori ed esteriori, utili al fine della purificazione di Buddhi e quindi della mente stessa nella sua interezza.
Onde evitare confusioni la prima distinzione và fatta sul fattore Ahamkara o Ego. Questa è una parola ed un concetto piuttosto diffuso nella psicologia moderna e qui si cercherà di darne l'esatta definizione dal punto di vista dello Yoga. In realtà non esistono contrasti evidenti ma è molto utile definire bene i concetti. "Ego" è usato in due modi distinti e per rendere questo esplicito vorrei usare una metafora che parla di due case, assolutamente identiche nella sostanza ma con la differenza che una è tutta bella dipinta e decorata mentre l'altra è, per così dire, in bianco e nero. Ora se ci piacciono i colori e le decorazioni diremo che la prima è bella mentre la seconda no e viceversa qualora il nostro gusto abbia preferenze per un mondo in bianco e nero.
 
  

Nel linguaggio comune dei tempi in cui viviamo la parola "Ego", riferendosi alla struttura della nostra personalità, è paragonabile ai colori ed alle decorazioni della metafora di cui sopra e dà meno importanza all'esistenza della casa in sé. Nella psicologia Yoga invece, che considera l'Ego come la potente onda capace di affermare la propria individuale esistenza, il paragone è assolutamente con la casa stessa e non con tutti i colori e le decorazioni che sono considerati come false identità. Occorre dunque comprendere questa distinzione e non fare confusione quando si ha a che fare con questa parola che può esprimere due concetti, entrambi utili e validi, ma diversi. Si opererà quindi sui colori e sulle decorazioni nell'ambito delle pratiche della moderna psicologia mentre si interverrà sulla casa nell'ambito delle pratiche yogiche; la cosa più importante è seguire ciò che veramente necessita durante un determinato passo della vita. Come si suol dire "anche l'occhio vuole la sua parte"; intervenire direttamente sulla casa quando si era animati da spirito pittorico potrebbe portare a non eseguire i lavori adatti, mentre una bella casa con tutti i suoi impianti funzionanti a dovere, dipinta con le tinte più appropriate e provvista di tutti gli accessori del caso, diventa un prezioso e piacevole luogo in cui dimorare. Nella psicologia Yoga, tutti i dipinti colorati e le decorazioni sono associabili alle impressioni ed ai ricordi immagazzinati nella Chitta e succede comunemente che l'Ego commetta l'errore di identificarsi con essi, ed ad un livello ancora più profondo anche l'Atman può esserne riguardato e commettere lo stesso errore, un po' come la luce riflessa sulla sulle superfici rotanti colorate dell'esempio riportato prima, che assume i toni dei vari settori che le si pongono davanti. Il nodo è quindi questa associazione errata che l'Ego fa con le informazioni che si trovano nella Chitta che fa sì che queste, che sono semplicemente dati neutri registrati, assumano le varie colorazioni dovute alle coppie di opposti ( attrazione-repulsione, piacere-dolore, ecc...) proprie dell'Ego. Queste "impressioni colorate", che Patanjali chiama "Chitta Vrtti", comunicano quindi a Manas le informazioni che guideranno le azioni, che saranno quindi basate solo e puramente sulle abitudini e non sul libero arbitrio e le conseguenze sono le sofferenze mentali ed emotive che l'individuo sovente sperimenta come ritorno karmico, ossia come effetto conseguente alle cause che egli ha posto in essere. Lo Yoga propone delle soluzioni a questa problematica intrinseca che affligge l'uomo, soluzioni che comportano il suo coinvolgimento ed il suo conseguente cambiamento: l'azione combinata delle pratiche yogiche e dell'auto-introspezione. Riguardo alle pratiche tutta la sequenza degli esercizi del Kriya può sicuramente rappresentare una buona scelta e dalla prossima sezione saranno man mano descritti anche quelli successivi al "primo", mentre per quanto riguarda l'auto-introspezione si cercherà qui di seguito dare alcuni indirizzi.
Osservazione e Testimonianza
Riassumendo brevemente quanto è stato detto fino ad ora, abbiamo visto che per porre i sensi sotto controllo occorre controllare la mente; a questo proposito è stato proposto l'esempio dell'ape regina e del suo sciame. L'ape regina è la mente e lo sciame sono i sensi; dove và la prima gli altri la seguono. Si poi constatato che controllare la mente non è un compito semplice per cui il primo passo è quello di conoscerla. In questa sezione è stata proposta una teoria che, secondo lo yoga, distingue quattro funzioni fondamentali secondo cui la mente opera e ciascuna di esse è stata analizzata ed identificata. A questo punto deve entrare in campo la volontà dell'aspirante poiché si tratta di praticare una meditazione, che definiremo "attiva", in quanto comporta la discriminazione tra le quattro funzioni, l'accettazione della natura di ognuna di esse, l'osservazione attiva di come esse operano quindi la testimonianza di tutti i processi, che conduce ad una graduale identificazione dell'Ego con il Sé anziché con le "impressioni colorate" della Chitta. Questo operare interiore è la funzione di Buddhi che viene quindi gradualmente risvegliato e purificato, unitamente alle pratiche che lo Yoga ed il Kriya in particolare propongono. La via non è facile ad agevole come prendere una pillola ed aspettare che il "male" passi; coinvolge l'individuo e lo muta a livello sottile fino alla progressiva rinascita di un "uomo nuovo". Egli è al timone della sua nave e la sua salvezza sta in buona parte nelle sue mani. In pratica occorre osservarsi mentre ci si muove nel mondo, a come si agisce e si parla, ponendo attenzione ai gesti ed al linguaggio del corpo, alle finalità per cui si intraprendono determinate vie e le azioni che si è disposti a fare per giungervi, essendo estremamente onesti con sé stessi. Si vedrà così riflesso, nello specchio interiore, ciò che sta alla base di quei movimenti, cioè la funzione mentale che sta operando. Risalendo così all'origine degli eventi che si pongono in atto si potrà confermarne le cause oppure modificarle, se esse non sono ritenute opportune. Questo è un ottimo sistema per "testimoniare" l'azione di Manas. Diventare invece consapevoli del continuo flusso di pensieri, ricordi, emozioni e sentimenti vari che continuamente sorgono e richiedono l'attenzione di Manas ponendovisi davanti, è un buon modo per "testimoniare" Chitta. Se ci si ferma bene ad osservare, senza indurre nessuna azione, si noterà che così come quello sciame di pensieri irrompe all'attenzione provenendo da chissà dove, pian piano scompare e ritorna allo stesso luogo: Chitta. Si potrà quindi serenamente dedurre che "Noi" non siamo quei pensieri, che comunque fanno parte di noi, ma semmai Colui che è in grado di testimoniarli. Osservare poi le varie "colorazioni" che attrazione, repulsione o indifferenza danno allo sciame di impressioni, che sorgono da Chitta e si pongono all'attenzione di Manas, è un modo di testimoniare l'intervento di Ahamkara. Si noti che Chitta può anche essere raffigurato come un grande lago, originariamente calmo, la cui superficie assume le increspature tipiche delle correnti e delle onde dovute all'azione che le varie impressioni esercitano. Queste increspature portano già di per sé un certo grado, seppur lieve, di agitazione mentale che, combinata con l'azione dei "coloranti" che Ahamkara ha su di esse, può alle volte trasformarsi in vere e proprie tempeste. Queste attrazioni-repulsioni sono in definitiva assimilabili a vere e proprie forze, come quelle presenti nelle strutture degli atomi e possono essere forti oppure deboli, fino a diventare quasi inavvertibili; percepire queste ultime dà un'idea molto chiara della sottigliezza con cui l'Ego dipinge le situazioni. I primi tempi in cui si inizia l'osservazione è tuttavia molto più semplice osservare le "interazioni" più deboli, benché sembri un paradosso; quelle più forti ci coinvolgono così tanto, si è talmente immedesimati in loro che diventa estremamente difficile divenirne consapevoli e quindi smascherarle. 
In base a queste premesse potrebbe venire facile dedurre che l' Ego sia un nemico e che ogni nostro sforzo debba essere volto ad eliminarlo, che è quanto in molti sistemi moderni, siano essi "psicologici" o di "crescita spirituale", viene proposto. Nello Yoga, alla luce delle due descrizioni date dell'Ego più sopra e del processo di purificazione della funzione mentale di Bhuddi, l'approccio con l'Ego medesimo è portato avanti in un modo differente; piuttosto che tentare di ucciderlo si cercherà di diventarvi amici al fine di educarlo. Il problema infatti non risiede nell'Ego in sé ma nel processo di identificazione con le false realtà che esso produce, quindi non è qualcosa di malvagio che ha bisogno di essere punito quanto piuttosto una parte di noi che ha bisogno di essere educata assieme alle altre tre funzioni mentali, in particolare Manas. Anche qui l'amore gioca un ruolo fondamentale; se abbiamo amore per noi stessi ben difficilmente sceglieremo che una parte di noi ci venga strappata o venga uccisa, piuttosto opteremo per cambiare le sue abitudini dannose. Se morte ci deve essere quindi, che sia per le associazioni errate che intervengono tra le informazioni che risiedono nella Chitta e gli attaccamenti-repulsioni proprie dell'Ego. Queste associazioni sono chiamate da Patajiali "klishta" mentre il processo di "decolorarle" è chiamato "aklishta". La "morte" di queste associazioni non significa quindi la morte dell'Ego che anzi, diventa più forte con la loro scomparsa. Le persone che praticano Yoga parlano sovente del risveglio di Kundalini, che è una manifestazione della "Kundalini Shakti", dove "Shakti" rappresenta la primordiale energia spirituale. Benché questa forma di energia sia quella che venne prima di tutte la altre, con una metafora si può dire che esiste una forma di "Shakti" che venne prima ancora, perfino prima della Kundalini Shakti, che si chiama "Sankalpa Shakti" che non è altro che l'energia che proviene dalla determinazione. Nel cammino spirituale questo tipo di energia diventa determinante per l'aspirante e si estrinseca in affermazioni del tipo: "Posso farcela!" - "Ce la farò!" - "Devo farcela!" Questa non è altro che la positiva applicazione della forza di Ahamkara e si capisce bene che non è qualcosa di negativo che deve "morire" ma piuttosto uno strumento essenziale e positivo che ha bisogno di essere appropriatamente educato e coltivato perché possa essere utilizzato nel viaggio interiore. Le "false identità" ed il processo della loro "decolorazione" sono principi fondanti della disciplina dello Yoga ed infatti Patanjiali li pone all'inizio degli Yoga Sutras (1.1 - 1.4) di cui riporto un paio di traduzioni.

Atha yoga nu sasanam
Yoga citta-vrtti-nirodhah
Tada drastuh svarupe 'vasthanam
Vrtti-sarupyam itaratra
[Si illustra] ora la disciplina dello Yoga.
 Yoga è l'arresto delle modificazioni mentali
A questo punto il testimone è stabile in sé stesso.
Negli altri stati esiste identificazione con i mutamenti della mente.
In verità, l’esposizione dello Yoga o Concentrazione, sta ora per essere fatta.
La Concentrazione o Yoga consiste nell’impedire le modificazioni del principio pensante.
Durante la concentrazione l’anima rimane nella condizione di uno spettatore senza spettacolo.
Nei momenti in cui non c’è concentrazione, l’anima assume la stessa forma della modificazione della mente.

Poi nel quinto aforisma si legge: "Vrttayah pancatayyah klishta aklistha" cioè "Le modificazioni mentali sono di cinque tipi; esse sono dolorose o non dolorose" dove vengono introdotti i concetti di "klishta" e "aklistha" e per quanto riguarda la nostra esposizione il cerchio si chiude.
E' stato quindi affrontato l'argomento "mente" dal punto di vista dello Yoga tentando di dare un'esposizione tecnica, con alcuni riferimenti agli Yoga Sutra di Patanjiali, e cercando di dare all'assieme un tono assolutamente neutro. Non si riscontrano infatti tracce di devozione verso il Divino che pure sono importanti, se non fondamentali, in ogni esperienza mistica, ma si è data preferenza alla ricerca della neutralità poiché una delle finalità intrinseche era proprio la "decolorazione" delle impressioni mentali quale risultato dell'osservazione e della testimonianza del funzionamento della mente. Con questo non voglio esprimere alcuna preferenza dell'uso delle tecniche rispetto alla devozione, anzi personalmente credo che l'implicazione di quest'ultima funga da volano, da spinta, per l'aspirante che segue il cammino interiore. Non ho la possibilità di fare raffronti di esperienze di diverso tipo ma intuitivamente credo che di sola tecnica non si vada da nessuna parte in un percorso mistico, ma sono altresì convinto che la combinazione di esse, qualora siano corrette, con il giusto grado di aspirazione verso il Supremo rappresenti un ottimo veicolo per l'evoluzione spirituale dell'individuo. E' possibile che si raggiunga la Meta in questa incarnazione oppure no, ma chi segue la via dello Yoga sente intuitivamente che i propri sforzi non andranno perduti, così come promesso anche da Babaji, per cui il giusto impegno spirituale non deve venire meno.


La Mente

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