Si
andrà ora a fare un' approfondimento sulla
mente,
facendo un'analisi psicologica dal punto di vista dello Yoga e
cercando di fornire anche dettagli pratici su come sia possibile
guidarla "scientificamente" per i giusti scopi, per la ragione,
cioè, per cui fu concepita. Rifacendoci al capitolo in cui Sri
Yukteswar illustra e spiega la Creazione, si noterà che esiste
un punto in cui viene descritta la mente.
Osservando il disegno
essa si trova esattamente nel punto in cui originano le due
forze "elettriche" di attrazione e repulsione, situata già
nel regno delle "tenebre" (Maya), poiché è posta al di sotto
dell' Atomo (Anu) il cui insieme costituisce appunto Maya, e
"prigioniera" nella gabbia formata dallo spazio e dal tempo (Desa
e Kala).
Questo spiega abbastanza chiaramente la natura "vorticosa" della mente stessa da cui non è difficile dedurre perché sia così arduo controllarla. Una attenta osservazione del genere umano e dei suoi comportamenti porterà alla facile conclusione di come molti siano gli individui guidati dai loro sensi e dalle loro menti e di come, in sostanza, non siano loro stessi a prendere le decisioni ma qualcos'altro. Il risultato di questo processo è che spesso gli esseri umani sono cagione dei propri guai, guai che essi stessi si sono auto-creati a causa di una mala-interpretazione, quando non di una ignoranza completa, del "fattore" che dovrebbe invece servire a liberarli e non ad imprigionarli in ulteriori complicazioni. Per cominciare la disamina della mente e delle sua parti credo sia utile iniziare richiamando l'attenzione su un fattore importante nel cammino dello Yoga in generale: l'Osservatore o il Testimone. Chi è costui ? Chiunque abbia conseguito l'Auto-Realizzazione dirà certamente che è il "Sé", l'Anima, Ciò che siamo veramente. Ma anche altri, che ancora sono in cammino e ne hanno già percorso un certo tratto diranno la stessa cosa, essendo "Quella" la meta che stanno perseguendo. Probabilmente una terza categoria di persone, quelle che continuano a "nuotare" nel mare delle "percezioni sensorie" senza sentire la necessità di "guardare oltre", potrebbe dare risposte più incerte e variegate. Consapevole del fatto che queste ultime affermazioni potrebbero sollevare mille ragionevoli obiezioni, tengo a precisare che non è mia intenzione fare una distinzione su base verticale di chi è più bravo o avanzato e di chi invece lo è meno; non è questo il senso dello Yoga. Ognuno di noi è in cammino, che lo voglia o no, che lo ammetta o meno. La Vita è un interrogativo grande, ed il fatto di non porsi la domanda, benché possa essere una risposta, non è certamente la sola opzione possibile. Chi intraprende la via dello Yoga ha certamente un' interrogativo a cui sente il bisogno di dare una risposta, altrimenti non sceglierebbe una via così "stretta" ed impervia.
Come potremmo dunque definire questo
"silenzioso" Testimone ? A me piace definirlo come Colui che
osserva tutto quello che noi facciamo. Quel "Colui" altri non è
che noi stessi. Quel "Colui" che è il solo in grado di
testimoniare come corpo, respiro, sensi e mente operano, assieme
e singolarmente. Nello Yoga questo "Colui" è chiamato l'Atman,
il Sé, ed è la ragione degli sforzi, delle rinunce e della
disciplina a cui lo yogi si sottopone. Si potrebbe darne
un'immagine pratica paragonandolo, ad esempio, al mozzo di una
ruota che rimane fermo mentre questa gira soggetta alle varie
forze che agiscono su di essa, oppure anche alla luce riflessa
sulla ruota che emana da un punto fermo, esterno ad essa, come
nella figura sottostante. I vari colori mutano la tonalità della
luce riflessa che tuttavia rimane fissa nello stesso punto
nonostante la rotazione.
L'Atman, come si è già detto nella sezione
riguardante i sensi, nelle vesti della coscienza opera
attraverso Sahashrara, il settimo chakra, provvedendo a fornire
l'energia necessaria alla mente per operare e, secondo le
necessità, agli altri cinque chakra per mezzo della batteria di
energia rappresentata dal midollo allungato o Bocca di Dio. La
mente, a sua volta, opera attraverso il Kutastha, il sesto
chakra, il quale è sperimentato nel centro tra le sopracciglia;
è il centro di coordinamento dei cinque chakra sottostanti, che
in definitiva dipendono da esso. Nel Kutastha quindi, la mente
è, sia il contenitore delle informazioni di conoscenza importate
dalle cinque porte di entrata degli organi dei sensi (
Jnanendriya ) e delle loro controparti fisiche, sia il
coordinatore delle istruzioni date ai cinque organi di azione (
Karmendriya ) ed alle loro controparti fisiche. Riprendendo
l'esempio della nostra ruota potremmo quindi paragonarla alla
mente, che gira avanti e indietro soggetta all'azione del mondo.
Lo Yoga suddivide la mente in quattro parti, a seconda delle
funzioni svolte da ciascuna: Manas, Chitta, Ahamkara e Buddhi.
Si procederà ora ad analizzare singolarmente ciascuna di queste
componenti.
|
|||||||
Le quattro menti: Manas, Chitta, Ahamkara e Buddhi | |||||||
Manas è la forma di mente "più bassa".
E' quella che, come descritto sopra, interagisce con il mondo
esterno coordinando i sensi di azione in uscita e percependo le
sensazioni cognitive in entrata. E' anche la forma di mente che
pone dubbi e domande e che può causare grandi difficoltà se
esercita un predominio eccessivo. Svolge un ruolo simile a
quello di un coordinatore in una fabbrica; dirige gli operatori
ma non è preposto a prendere decisioni. Come si vedrà più avanti
è la parte rappresentata da Buddhi quella che dovrebbe prendere
le decisioni, ma spesso questa parte è offuscata di modo che
Manas, secondo la sua natura, continua a porre domande cercando
risposte soddisfacenti. Se non le ottiene diviene incline ad
ascoltare quella fra le altre parti che grida più forte, che di
solito sono le informazioni accatastate nel grande magazzino di
Chitta, quali i vari voleri, desideri, attrazioni e repulsioni.
Tutto quanto entra nella mente tramite le
cinque porte di entrata (ogni sorta di percezione sensoria,
impressioni ed esperienze) viene immagazzinata nel grande
contenitore di Chitta; è la riserva da cui si attingono
le informazioni del passato ed in cui vengono continuamente
immagazzinate quelle nuove. Come ogni grande piattaforma di
stoccaggio è bene che sia tenuta in ordine il più possibile onde
evitare grande confusione o dimenticanze quando si deve
ripescare qualcosa oppure, cosa peggiore, che la grande quantità
di dati sparsi qua e là comincino a sorgere spontaneamente
fornendo a Manas i comandi errati con cui interagire col mondo
esterno. E' la parte che viene usata quando si agisce
impulsivamente, senza riflettere più di tanto. La funzione di
Chitta è quindi molto utile in quanto ci permette di conservare
la memoria delle cose, ma deve essere coordinata con le altre
parti onde evitare, come abbiamo visto, azioni d'impulso di cui
ci si potrebbe pentire.
Ahamkara, l'Ego individuale, è quella
forma di mente che dà il senso di esistenza, in sostanza " l'Io
Sono ", che si percepisce come una distinta, separata unità. Dà
sì il senso di identità ma al contempo è in grado di creare
anche sentimenti di separazione, dolore ed alienazione. Quando
la luce dell'Anima, come nell'esempio della ruota in movimento
più sopra, assume le colorazioni di questi sentimenti negativi,
si identifica con essi dimenticando di essere la pura luce che
emana da fuori. Ahamkara è l'onda impetuosa che dichiara: "Io
Sono". Questa onda talvolta entra in combutta con le impressioni
presenti nella Chitta, facendo sì che queste assumano diverse
"colorazioni" o klishta (paura, avversione, attaccamento,
egoismo, o ignoranza della vera natura dell'uomo) oppure altre
volte con Manas che risponde facendo sorgere i vari desideri di
questa individualità separata, guidando quindi l'individuo verso
il loro soddisfacimento. Tutto questo mentre Buddhi, l'aspetto
più profondo della mente che sa, decide e discrimina, rimane
offuscato dietro una coltre di nubi. Per questo nello Yoga si
dice che purificare Buddhi è il compito più importante
nell'arduo lavoro di controllare la mente, tappa necessaria nel
cammino della meditazione verso l'Auto-Realizzazione.
La radice della parola Buddhi, Bhud,
significa "uno che è stato svegliato". Buddhi si configura come
l'aspetto più alto della mente, la porta verso la saggezza
interiore, ed è quello che la capacità di decidere e giudicare
giustamente. Compie altresì discriminazioni e differenziazioni
cognitive ed è in grado di determinare sempre la più saggia tra
due o più scelte disponibili, se funziona con chiarezza e se
Manas accetta la sua guida. Nella fabbrica della vita Buddhi
dovrebbe sempre essere quello che prende le decisioni,
altrimenti Manas prenderà le istruzioni dagli schemi delle
abitudini immagazzinate nella Chitta che, come si è visto
poc'anzi, prendono colore da Ahamkara, l'Ego. Sono proprio tutte
queste abitudini, metaforicamente colorate dai vari sentimenti,
e le varie impressioni che spesso offuscano la chiarezza di
Buddhi. Lo Yogi ha quindi il compito, nella sua sadhana o
pratica spirituale, di togliere le nubi che avvolgono il proprio
Buddhi di modo che la chiara visione che ne deriva lo possa
guidare verso le scelte giuste che portano a cogliere i frutti
della pratica spirituale. Tuttavia Buddhi è sempre e comunque
parte della mente che lo yogi deve trascendere per arrivare al
suo traguardo. Furono infatti i più sottili aspetti di Buddhi
che agli inizi incominciarono a vedere la divisione dove invece
c'era unità. La difficoltà risiede quindi nel discriminare tra
Buddhi, strumento stesso della discriminazione e della profonda
esperienza della meditazione, e la pura coscienza che va al di
là di esso; questo è uno degli stadi ultimi del cammino.
|
|||||||
Interazioni tra le quattro menti | |||||||
Prima di arrivare a determinare le azioni
pratiche da porre in atto per tentare il controllo della mente
occorre ancora, a mio avviso, fare qualche puntualizzazione
riguardo ad alcuni dei quattro fattori e delle loro interazioni.
Intanto la scomposizione che viene fatta nei quattro fattori
sopra citati è solo una questione analitica che ci facilita in
questo arduo passo, ma la mente è e rimane una sola; Patanjali
afferma infatti nei suoi Yoga Sutras - 4,20 - "Se potesse
esistere un'altra mente per percepire la mente, si svolgerebbe
un processus ad infinitum che potrebbe generare confusione di
memoria". La mente è quindi una sola ed i quattro fattori, o
meglio le interazioni mentali che avvengono tra le varie
funzioni che essa espleta, sono quanto si deve arrivare ad
osservare e discriminare per una piena e serena testimonianza di
essa. Ne deriva quindi la consapevolezza e l'accettazione di
tutti i suoi processi basilari di funzionamento su cui porre le
basi per le azioni, interiori ed esteriori, utili al fine della
purificazione di Buddhi e quindi della mente stessa nella sua
interezza.
Onde evitare confusioni la prima distinzione
và fatta sul fattore Ahamkara o Ego. Questa è una parola ed un
concetto piuttosto diffuso nella psicologia moderna e qui si
cercherà di darne l'esatta definizione dal punto di vista dello
Yoga. In realtà non esistono contrasti evidenti ma è molto utile
definire bene i concetti. "Ego" è usato in due modi distinti e
per rendere questo esplicito vorrei usare una metafora che parla
di due case, assolutamente identiche nella sostanza ma con la
differenza che una è tutta bella dipinta e decorata mentre
l'altra è, per così dire, in bianco e nero. Ora se ci piacciono
i colori e le decorazioni diremo che la prima è bella mentre la
seconda no e viceversa qualora il nostro gusto abbia preferenze
per un mondo in bianco e nero.
Nel linguaggio comune dei tempi in
cui viviamo la parola "Ego", riferendosi alla struttura
della nostra personalità, è paragonabile ai colori ed
alle decorazioni della metafora di cui sopra e dà meno
importanza all'esistenza della casa in sé. Nella
psicologia Yoga invece, che considera l'Ego come la
potente onda capace di affermare la propria individuale
esistenza, il paragone è assolutamente con la casa
stessa e non con tutti i colori e le decorazioni che
sono considerati come false identità. Occorre dunque
comprendere questa distinzione e non fare confusione
quando si ha a che fare con questa parola che può
esprimere due concetti, entrambi utili e validi, ma
diversi. Si opererà quindi sui colori e sulle
decorazioni nell'ambito delle pratiche della moderna
psicologia mentre si interverrà sulla casa nell'ambito
delle pratiche yogiche; la cosa più importante è seguire
ciò che veramente necessita durante un determinato passo
della vita. Come si suol dire "anche l'occhio vuole la
sua parte"; intervenire direttamente sulla casa quando
si era animati da spirito pittorico potrebbe portare a
non eseguire i lavori adatti, mentre una bella casa con
tutti i suoi impianti funzionanti a dovere, dipinta con
le tinte più appropriate e provvista di tutti gli
accessori del caso, diventa un prezioso e piacevole
luogo in cui dimorare. Nella psicologia Yoga, tutti i
dipinti colorati e le decorazioni sono associabili alle
impressioni ed ai ricordi immagazzinati nella Chitta e
succede comunemente che l'Ego commetta l'errore di
identificarsi con essi, ed ad un livello ancora più
profondo anche l'Atman può esserne riguardato e
commettere lo stesso errore, un po' come la luce riflessa
sulla sulle superfici rotanti colorate dell'esempio
riportato prima, che assume i toni dei vari settori che
le si pongono davanti. Il nodo è quindi questa
associazione errata che l'Ego fa con le informazioni che
si trovano nella Chitta che fa sì che queste, che sono
semplicemente dati neutri registrati, assumano le varie
colorazioni dovute alle coppie di opposti (
attrazione-repulsione, piacere-dolore, ecc...) proprie
dell'Ego. Queste "impressioni colorate", che Patanjali
chiama "Chitta Vrtti", comunicano quindi a Manas le
informazioni che guideranno le azioni, che saranno
quindi basate solo e puramente sulle abitudini e non sul
libero arbitrio e le conseguenze sono le sofferenze
mentali ed emotive che l'individuo sovente sperimenta
come ritorno karmico, ossia come effetto conseguente
alle cause che egli ha posto in essere. Lo Yoga propone
delle soluzioni a questa problematica intrinseca che
affligge l'uomo, soluzioni che comportano il suo
coinvolgimento ed il suo conseguente cambiamento:
l'azione combinata delle pratiche yogiche e
dell'auto-introspezione. Riguardo alle pratiche tutta la
sequenza degli esercizi del Kriya può sicuramente
rappresentare una buona scelta e dalla prossima sezione
saranno man mano descritti anche quelli successivi al
"primo", mentre per quanto riguarda l'auto-introspezione
si cercherà qui di seguito dare alcuni indirizzi.
|
|||||||
Osservazione e Testimonianza | |||||||
Riassumendo brevemente quanto è stato detto
fino ad ora, abbiamo visto che per porre i sensi sotto controllo
occorre controllare la mente; a questo proposito è stato
proposto l'esempio dell'ape regina e del suo sciame. L'ape
regina è la mente e lo sciame sono i sensi; dove và la prima gli
altri la seguono. Si poi constatato che controllare la mente non
è un compito semplice per cui il primo passo è quello di
conoscerla. In questa sezione è stata proposta una teoria che,
secondo lo yoga, distingue quattro funzioni fondamentali secondo
cui la mente opera e ciascuna di esse è stata analizzata ed
identificata. A questo punto deve entrare in campo la volontà
dell'aspirante poiché si tratta di praticare una meditazione,
che definiremo "attiva", in quanto comporta la discriminazione
tra le quattro funzioni, l'accettazione della natura di ognuna
di esse, l'osservazione attiva di come esse operano quindi la
testimonianza di tutti i processi, che conduce ad una graduale
identificazione dell'Ego con il Sé anziché con le "impressioni
colorate" della Chitta. Questo operare interiore è la funzione
di Buddhi che viene quindi gradualmente risvegliato e
purificato, unitamente alle pratiche che lo Yoga ed il Kriya in
particolare propongono. La via non è facile ad agevole come
prendere una pillola ed aspettare che il "male" passi; coinvolge
l'individuo e lo muta a livello sottile fino alla progressiva
rinascita di un "uomo nuovo". Egli è al timone della sua nave e
la sua salvezza sta in buona parte nelle sue mani. In pratica
occorre osservarsi mentre ci si muove nel mondo, a come si
agisce e si parla, ponendo attenzione ai gesti ed al linguaggio
del corpo, alle finalità per cui si intraprendono determinate
vie e le azioni che si è disposti a fare per giungervi, essendo
estremamente onesti con sé stessi. Si vedrà così riflesso, nello
specchio interiore, ciò che sta alla base di quei movimenti,
cioè la funzione mentale che sta operando. Risalendo così
all'origine degli eventi che si pongono in atto si potrà
confermarne le cause oppure modificarle, se esse non sono
ritenute opportune. Questo è un ottimo sistema per
"testimoniare" l'azione di Manas. Diventare invece consapevoli
del continuo flusso di pensieri, ricordi, emozioni e sentimenti
vari che continuamente sorgono e richiedono l'attenzione di
Manas ponendovisi davanti, è un buon modo per "testimoniare"
Chitta. Se ci si ferma bene ad osservare, senza indurre nessuna
azione, si noterà che così come quello sciame di pensieri
irrompe all'attenzione provenendo da chissà dove, pian piano
scompare e ritorna allo stesso luogo: Chitta. Si potrà quindi
serenamente dedurre che "Noi" non siamo quei pensieri, che
comunque fanno parte di noi, ma semmai Colui che è in grado di
testimoniarli. Osservare poi le varie "colorazioni" che
attrazione, repulsione o indifferenza danno allo sciame di
impressioni, che sorgono da Chitta e si pongono all'attenzione
di Manas, è un modo di testimoniare l'intervento di Ahamkara. Si
noti che Chitta può anche essere raffigurato come un grande
lago, originariamente calmo, la cui superficie assume le
increspature tipiche delle correnti e delle onde dovute
all'azione che le varie impressioni esercitano. Queste
increspature portano già di per sé un certo grado, seppur lieve,
di agitazione mentale che, combinata con l'azione dei
"coloranti" che Ahamkara ha su di esse, può alle volte
trasformarsi in vere e proprie tempeste. Queste
attrazioni-repulsioni sono in definitiva assimilabili a vere e
proprie forze, come quelle presenti nelle strutture degli atomi
e possono essere forti oppure deboli, fino a diventare quasi
inavvertibili; percepire queste ultime dà un'idea molto chiara
della sottigliezza con cui l'Ego dipinge le situazioni. I primi
tempi in cui si inizia l'osservazione è tuttavia molto più
semplice osservare le "interazioni" più deboli, benché sembri un
paradosso; quelle più forti ci coinvolgono così tanto, si è
talmente immedesimati in loro che diventa estremamente difficile
divenirne consapevoli e quindi smascherarle.
In base a queste premesse potrebbe venire
facile dedurre che l' Ego sia un nemico e che ogni nostro sforzo
debba essere volto ad eliminarlo, che è quanto in molti sistemi
moderni, siano essi "psicologici" o di "crescita spirituale",
viene proposto. Nello Yoga, alla luce delle due descrizioni
date dell'Ego più sopra e del processo di purificazione della
funzione mentale di Bhuddi, l'approccio con l'Ego medesimo è
portato avanti in un modo differente; piuttosto che tentare di
ucciderlo si cercherà di diventarvi amici al fine di educarlo.
Il problema infatti non risiede nell'Ego in sé ma nel processo
di identificazione con le false realtà che esso produce, quindi
non è qualcosa di malvagio che ha bisogno di essere punito
quanto piuttosto una parte di noi che ha bisogno di essere
educata assieme alle altre tre funzioni mentali, in particolare
Manas. Anche qui l'amore gioca un ruolo fondamentale; se abbiamo
amore per noi stessi ben difficilmente sceglieremo che una parte
di noi ci venga strappata o venga uccisa, piuttosto opteremo per
cambiare le sue abitudini dannose. Se morte ci deve essere
quindi, che sia per le associazioni errate che intervengono tra
le informazioni che risiedono nella Chitta e gli
attaccamenti-repulsioni proprie dell'Ego. Queste associazioni
sono chiamate da Patajiali "klishta" mentre il processo di
"decolorarle" è chiamato "aklishta". La "morte" di queste
associazioni non significa quindi la morte dell'Ego che anzi,
diventa più forte con la loro scomparsa. Le persone che
praticano Yoga parlano sovente del risveglio di Kundalini, che è
una manifestazione della "Kundalini Shakti", dove "Shakti"
rappresenta la primordiale energia spirituale. Benché questa
forma di energia sia quella che venne prima di tutte la altre,
con una metafora si può dire che esiste una forma di "Shakti"
che venne prima ancora, perfino prima della Kundalini Shakti,
che si chiama "Sankalpa Shakti" che non è altro che l'energia
che proviene dalla determinazione. Nel cammino spirituale questo
tipo di energia diventa determinante per l'aspirante e si
estrinseca in affermazioni del tipo: "Posso farcela!" - "Ce la
farò!" - "Devo farcela!" Questa non è altro che la positiva
applicazione della forza di Ahamkara e si capisce bene che non è
qualcosa di negativo che deve "morire" ma piuttosto uno
strumento essenziale e positivo che ha bisogno di essere
appropriatamente educato e coltivato perché possa essere
utilizzato nel viaggio interiore. Le "false identità" ed il
processo della loro "decolorazione" sono principi fondanti della
disciplina dello Yoga ed infatti Patanjiali li pone all'inizio
degli Yoga Sutras (1.1 - 1.4) di cui riporto un paio di
traduzioni.
Poi nel quinto aforisma si legge: "Vrttayah
pancatayyah klishta aklistha" cioè "Le modificazioni mentali
sono di cinque tipi; esse sono dolorose o non dolorose" dove
vengono introdotti i concetti di "klishta" e "aklistha" e per
quanto riguarda la nostra esposizione il cerchio si chiude.
|
|||||||
E' stato quindi affrontato l'argomento
"mente" dal punto di vista dello Yoga tentando di dare
un'esposizione tecnica, con alcuni riferimenti agli Yoga Sutra
di Patanjiali, e cercando di dare all'assieme un tono
assolutamente neutro. Non si riscontrano infatti tracce di
devozione verso il Divino che pure sono importanti, se non
fondamentali, in ogni esperienza mistica, ma si è data
preferenza alla ricerca della neutralità poiché una delle
finalità intrinseche era proprio la "decolorazione" delle
impressioni mentali quale risultato dell'osservazione e della
testimonianza del funzionamento della mente. Con questo non
voglio esprimere alcuna preferenza dell'uso delle tecniche
rispetto alla devozione, anzi personalmente credo che
l'implicazione di quest'ultima funga da volano, da spinta, per
l'aspirante che segue il cammino interiore. Non ho la
possibilità di fare raffronti di esperienze di diverso tipo ma
intuitivamente credo che di sola tecnica non si vada da nessuna
parte in un percorso mistico, ma sono altresì convinto che la
combinazione di esse, qualora siano corrette, con il giusto
grado di aspirazione verso il Supremo rappresenti un ottimo
veicolo per l'evoluzione spirituale dell'individuo. E' possibile
che si raggiunga la Meta in questa incarnazione oppure no, ma
chi segue la via dello Yoga sente intuitivamente che i propri
sforzi non andranno perduti, così come promesso anche da Babaji,
per cui il giusto impegno spirituale non deve venire meno.
|
giovedì 27 novembre 2014
Lo Yoga suddivide la mente in quattro parti, a seconda delle funzioni svolte da ciascuna: Manas, Chitta, Ahamkara e Buddhi.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento