significa scoprire che in ogni istante l’esperienza è tutto.
Non c’è nient’altro oltre a essa: nessuna esperienza di un ‘tu’ che sperimenta l’esperienza.
Anche nei più evidenti momenti di autocoscienza, il ‘sé’ di cui siamo consci è sempre un qualche particolare sentimento o sensazione: di tensione muscolare, caldo o freddo, dolore o irritazione, respiro o sangue che pulsa. Non c’è mai la sensazione di ciò che sente la sensazione, proprio come non c’è alcun senso o possibilità nella nozione dell’odorarsi il naso o del baciarsi le labbra. Nei periodi di felicità o piacere, di solito siamo abbastanza pronti a prendere coscienza dell’istante e a lasciare che l’esperienza sia tutto. In questi momenti ‘dimentichiamo noi stessi’ e la mente non compie alcun tentativo di dividersi da se stessa, di separarsi dall’esperienza.
Ma con l’arrivo del dolore, fisico o emotivo, effettivo o previsto, ha inizio la frattura e il cerchio si allarga sempre più.
Non appena diventa chiaro che l’ ‘Io’ non può assolutamente sfuggire alla realtà del presente, perché l’ ‘Io’ non è nient’altro che ciò che conosco ora, questo scompiglio interno deve cessare. Non resta alcun’altra possibilità se non la presa di coscienza del dolore, della paura, della noia o della sofferenza nella stessa maniera completa in cui si è coscienti del piacere. L’organismo umano ha le più meravigliose facoltà di adattamento sia al dolore fisico sia a quello psichico. Ma queste possono funzionare appieno solo quando il dolore non viene continuamente ristimolato da questo sforzo interiore di liberarsene, di separare l’ ‘Io’ dalla sensazione.
Lo sforzo crea uno stato di tensione in cui il dolore aumenta. Ma quando la tensione cessa, mente e corpo incominciano ad assorbire il dolore come l’acqua reagisce a un colpo o a un taglio.
(Alan W. Watts) Essere consapevoli della realtà
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