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YOGA SUTRA I E II PADA

Patanjali

L'autorità ultima e praticamente indiscussa dello Yoga è il testo chiamato Yoga-sutra e l'autore è il saggio Patanjali. Come al solito, la data precisa della sua nascita è avvolta dal mistero. Gli studiosi occidentali la fanno risalire a due secoli prima dell'era cristiana, ma non ci sono dubbi che deve essere ben antecedente. Infatti i Purana lo segnalano in compagnia di saggi antichissimi quali Vyasa, Ashtavakra e Narada.

A coloro che desiderano acquisire una conoscenza generale di questa scienza millenaria, prima di affrontare l'analisi del testo originale e completo, consigliamo di studiarne un riassunto. Ve ne offriamo uno noi.
L'autore ha diviso lo Yoga-sutra in 4 pada (o capitoli), che sono:

il Samadhi-Pada, composto di 51 versi,
il Sadhana-Pada, di 55 versi,
il Vibhuti-Pada, di 56 versi e 
il Kaivalya-Pada di 33 versi,
per un totale di 195 versi.

LO YOGA SUTRA


Capitolo primo (I pada)

Vediamo il capitolo primo, il Samadhi-Pada, che riguarda gli stadi di concentrazione e di estasi interiore.

Prima di tutto dobbiamo chiarire il significato della parola Yoga, che significa "unione", riallacciamento con Dio, l'Essere Supremo. Lo Yoga è dunque quell'insieme di tecniche grazie alle quali è possibile raggiungere l'unificazione qualitativa con l'Ishvara, il Signore Supremo.

Ma è impossibile svolgere queste tecniche a meno che la mente non sia completamente sotto controllo. Infatti non è possibile meditare se la nostra attenzione è continuamente distratta e trascinata lontano dal punto focale. Il problema sta nel fatto che i nostri sensi sono spinti dai nostri sensi-guida a posarsi in continuazione sui loro rispettivi oggetti, per un gioco di piacere, per poter in ogni istante provare un qualche gusto, una qualche emozione nuova.

Questo contatto e le sensazioni provate causano delle impressioni che si stampano nella nostra mente, rendendola sempre più agitata, febbrile, come una macchina impazzita che l'autista non riesce più a controllare. In questa situazione, il nostro viaggio verso la meta diviene evidentemente improbo. Le agitazioni continue, che sono come onde impetuose, ci impediscono di essere forti e stabili nella pratiche delle tecniche che permettono di condurre la ricerca del vero sé. Dopo un po’ la nostra stessa determinazione tende a scemare. Quando invece riusciamo a immobilizzare la mente e a portarla sotto il nostro ferreo dominio, allora, è possibile diventare stabili all'interno di noi stessi, in direzione della nostra ricerca, e non più in balia delle cose esterne. Ma se non si riesce a imbrigliare la mente, non si può fare a meno di identificarsi con le sue varie e forsennate fluttuazione e così sprofondare ancora di più nell'illusione. Ci sono cinque tipi di fluttuazioni (o modificazioni della mente); queste stesse in determinati modi e momenti provocano dolore, altre volte un senso di felicità. E sono:

la conoscenza giusta,
la conoscenza falsa,
l'immaginazione,
il sonno e 
la memoria. 

Vediamole uno per uno.

Possiamo giungere a una conoscenza vera delle cose in modi diversi, quali usando la percezione diretta, cioè quella ottenuta con i sensi e la mente (pratyaksha); oppure attraverso la deduzione, cioè attraverso il ragionamento dell'intelletto (anumana); oppure grazie alle parole delle persone che so-no già realizzate (agama). La prima può essere di grande aiuto, ma le informazioni ottenute devono essere valutate attentamente, in quanto i nostri sensi soffrono di pesanti limitazioni e difetti. Di certo non possiamo fidarci ciecamente. Per quanto riguarda la deduzione, fondata sull'esercizio intellettivo, anch'essa è limitata, sebbene più raffinata in confronto alla precedente. D'altra parte non possiamo dimenticare che le nostre conclusioni sono per lo più basate sulla esperienza sensoriale, sulla quale abbiamo costruito il nostro punto di osservazione. Comunque la deduzione, se ben educata, può portare a un veloce avanzamento spirituale. La terza, cioè la testimonianza di chi ha già avuto esperienza del Tutto, ammesso che si trovi la giusta sorgente di informazioni, è la più affidabile. Chi potrebbe parlarci meglio dell'America di uno che ci sia già stato?

Continuando a studiare le cause delle varie modificazioni della mente, troviamo il falso sapere, cioè essere convinti di una cosa falsa. Poi abbiamo l'immaginazione, cioè quelle certezze che ci creiamo artificialmente da noi stessi e che corrispondono convinzioni dannose, come l'idea di essere un corpo e tutto ciò che ne consegue. Il sonno, poi, è lo stato mentale privo di consapevolezza, una specie di indolenza esistenziale in cui si è totalmente in oblio di qualsiasi cosa. Infine la memoria, la rievocazione delle passate esperienze. Tutti questi stati possono causare alla nostra mente delle agitazioni tali da impedire la meditazione e ostacolare le pratiche necessarie alla liberazione.

Quindi, come possiamo far sì che queste situazioni negative si arrestino definitivamente, o almeno che si attenuino? Con la pratica continua e il distacco dagli attaccamenti agli oggetti e alle situazioni materiali, risponde Patanjali. Certo, all'inizio tutto ciò richiede costanza, anche fatica, ma alla fine siamo certi di raggiungere la quiete interiore. Dopo un po’ non sarà più necessario una costrizione continua per mantenersi allo stato yogico, ma diventerà una cosa acquisita e dunque del tutto naturale, spontanea, quasi automatica. Ma, ribadisce Patanjali, è fondamentale l'astensione dai piaceri dei sensi, e quando si sarà percepito il Purusha ogni desiderio avrà cessato di arrecare disturbo. Questo stato è chiamato samadhi.

Il samadhi è la concentrazione totale sul Signore. Ci sono gradi diversi di samadhi, più o meno perfetti. Per raggiungere la vetta massima, senza la quale la rinascita è certa, è necessario sforzarsi con intensità e sincerità; chi lo fa è vicino al successo.

Come ottenere la perfezione? La prima strada che il maestro di tutti gli yogi indica è quella della devozione a Ishvara, detto anche Purusha, o Paramatma. Questo Essere Supremo è un Dio personale, l'Anima Suprema, piena di consapevolezza, ed è trascendentale alle illusioni di questo mondo.

C'è differenza tra l'Anima Suprema e le anime non supreme, noi, i "sé individuali", insegna Patanjali: mentre la prima è perfetta, onnisciente e illimitata, le seconde (jiva) sono imperfette e limitate. Ishvara è il Signore e Maestro dei maestri, pieno di poteri incommensurabili.

Ora Patanjali ci offre uno strumento di meditazione, la sillaba spirituale Om. Questa è la rappresentazione sonora di Dio. Meditando sul suono e sui suoi significati, ripetendola costantemente e con rapita attenzione, ci accorgiamo che gradualmente tutti gli impedimenti svaniscono e ci risvegliamo a una nuova consapevolezza. Purtroppo in questo mondo ci sono troppi fattori di distrazione e tutti provocano solo angoscia e illusione. La pratica costante della meditazione sul suono spirituale è fondamentale ai fini della rimozione di questi elementi negativi. Si deve predisporre la mente con pensieri e sentimenti positivi, virtuosi e controllare attentamente il respiro.

Appena ci accorgiamo che tale pratica meditativa comincia a produrre percezioni sensoriali straordinarie, vediamo che la nostra mente acquista sicurezza e diventa uno strumento in più a disposizione per perseverare nella pratica.

Ma a cosa si deve pensare durante la meditazione? Patanjali dice che gli oggetti di meditazione possono essere svariati. Egli dà grande importanza all'esercizio di concentrazione in sé ed è grazie a questo sforzo che sopravviene la visione del Paramatma situato all'interno del cuore.

Così controllate le modificazioni mentali, la comprensione della propria identità e della differenza che esiste nei confronti degli oggetti esterni e delle situazioni finora percepite con i vari sensi, diventa chiara. Allora il grado del samadhi diviene profondo e siamo liberi dal ciclo delle morti e delle rinascite (samsara).


Capitolo secondo (II pada)
Vediamo ora il capitolo secondo, il Sadhana-Pada, che riguarda le pratiche necessarie al perfezionamento dello Yoga.

Patanjali comincia specificando la sua idea di Kriya-yoga (o Karma-yoga). Questo è uno Yoga pratico, uno Yoga dell'azione. Svolgendo un certo tipo di attività si può raggiungere la purificazione. Le azioni consigliate sono le austerità, lo studio delle scritture e gli atti compiuti come offerta per il Supremo Dio, Ishvara. Il Kriya-yoga è un tipo di Bhakti-yoga nel quale è presente un'enfasi maggiore per le pratiche ascetiche. La pratica di queste tecniche aiutano a ridurre la sensazione di sofferenza e di disagio presenti in questo mondo e aiutano a sviluppare il samadhi.

Ma quali sono gli elementi che causano infelicità? Secondo Patanjali sono l'ignoranza, l'egoismo, la voglia morbosa di piacere sensuale, la rabbia, l'attaccamento per la vita e la paura della morte. Vediamoli uno per uno.

Ignoranza significa credere che una cosa sia in una certa maniera piuttosto che nel modo giusto; scambiare una cosa per un'altra, insomma. Per esempio, credere che l'energia materiale sia permanente e quindi cercare di godere delle sue offerte è ignoranza; scambiare l'impuro con il puro, la vita triste con una gaia, ciò che abbiamo con ciò che siamo e anche credere di essere noi Dio.

L'ignoranza è il male fondamentale. E' infatti a causa dell'influenza di questa avidya se le altre fonti di infelicità sono in grado di operare.

L'egoismo è il senso di essere. Quando ci identifichiamo con qualcosa che non siamo (cioè il mondo e gli oggetti che visualizziamo) quello è chiamato falso ego, o egoismo.

Altra fonte di sofferenza è la ricerca dei piaceri mondani, la quale dà origine a un attaccamento sempre più folle, vertiginoso con cui mai si riesce a raggiungere una soddisfazione piena e duratura.

L'avversione a ciò che non piace è l'altra facciata della medaglia: attaccamento e repulsione sembrano due cose diverse, opposte, ma hanno lo stesso valore in quanto interdipendenti. Questa produce ira e odio.

L'attaccamento alla vita e la paura della morte è conseguente a tutti gli altri vizi. Quando si vuole la soddisfazione in questo mondo, naturalmente si è avversi a morire fino a che non si trova l'oggetto della ricerca, cioè la felicità totale. Questa ha fatto vittime anche fra i saggi più celebri, come se tutti noi fossimo costretti dalla nostra stessa natura. Infatti l'anima è eterna, e nella sua identificazione con il corpo non riesce a capacitarsi che debba morire. L'ignorante non sa che in realtà la morte è solo un uscire da un vestito per indossarne un altro.

Queste sensazioni di infelicità, continua Patanjali, continuano a esistere in noi perché ci portiamo dietro, o meglio dentro, quelli che vengono chiamati samskara. Questi ultimi possono essere definiti "impronte qualitative". Tali impressioni, stampate nel corpo sottile, vengono trascinate dall'anima indivi-duale da corpo in corpo, da un numero imprecisabile di vite. In altre parole, tutto ciò che abbiamo visto, fatto e provato nelle vite precedenti ci hanno provocato delle impronte di carattere che ci portiamo sempre dietro, vita dopo vita, corpo dopo corpo, e ci inducono a comportarci, ad essere, a sentire in un certo modo talvolta anche contro la nostra stessa volontà.

Queste "qualità ereditarie" devono essere annullate, e ciò è possibile solo con la meditazione. Infatti da queste scaturiscono attaccamenti e giudizi errati che provocano ulteriori sofferenze. Da lì provengono altre azioni materiali, dalle quali scaturisce il karma. E finché avremo reazioni da scontare saremo costretti a rinascere nei vari corpi, condannati a vedere la perfezione allontanarsi.

Ci sono diversi tipi di reazioni: alcune causano una certa gioia, altre la tristezza. Ma il saggio intelligente riesce a percepire che si tratta solo di diversi generi di sofferenza e quindi le evita, le elimina prima ancora che generino i loro frutti.

Prima di tutto è importante stabilire chi noi siamo. "Colui che vede" (cioè noi, l'anima) non fa parte del mondo dell'oggetto in visione (la natura materiale). Noi siamo di qualità trascendentale. In un certo senso gli oggetti del mondo sono fatti per facilitare la liberazione del soggetto che li vive, che li sperimenta, ma non per un gioco di identificazione.

Patanjali poi avverte che l'aspirante saggio deve imparare a trascendere le influenze dei tre guna (sattva, rajas e tamas). In caso contrario non potrà vedere le cose come sono in realtà, ma le vivrà sempre attraverso il filtro di falsità della mente materiale. Lo yogi deve sempre ricordare che lo scopo della vita e di tutto ciò che esiste è la liberazione delle anime e il loro ricongiungimento con Dio. Questo fine è raggiungibile dal saggio, ma rimane un miraggio per coloro che accettano di rimanere avvolti nei tentacoli delle illusioni e delle falsità di Maya.

E' dunque di importanza fondamentale saper collocare nel loro giusto ruolo l'osservante e l'oggetto osservato. Appena la persona spirituale giunge a disidentificarsi dal corpo, vede sorgere in sé la vera conoscenza, poi la visione dell'energia spirituale ed infine la liberazione. Come tutte gli altri, anche questo esercizio discriminatorio fra il vero e il falso richiede costanza e determinazione.

Patanjali specifica che è necessario percorrere otto tappe per far sì che l'illuminazione spirituale diventi possibile, stadi che corrispondono anche a complesse discipline. Queste sono: yama, niyama, asana, pranayama, pratyahara, dharana, dhyana e samadhi.

Yama significa astensione, ed è lo stadio in cui lo yogi deve praticare virtù morali, che sono necessarie per la pulizia della mente e del corpo. Deve essere non-violento, veritiero, onesto, casto e distaccato. Man mano che procede nel cammino, queste regole non devono essere abbandonate, ma è obbligatorio che rimangano sempre punti fermi della vita e della coscienza del praticante.

Niyama è lo stadio successivo, in cui è necessario coltivare ulteriore purezza del cuore e del corpo. L'accontentarsi di qualsiasi cosa si abbia (dunque non desiderare altro), l'austerità, lo studio e il servizio devozionale d'amore a Dio aiutano a costruire una predisposizione mentale positiva che è importante ai fini della meditazione. I pensieri negativi (quali l'odio, l'invidia e altri sentimenti simili) conducono lontano dalla meta e devono essere sostituiti. Chi si perfeziona nello stadio di niyama acquista un profondo disgusto nei confronti del proprio corpo e di quello degli altri; così il desiderio sessuale scema fino quasi a scomparire. Da questo stato sprigionano la gioia, il controllo sui sensi e poi la beatitudine; all'interno del nostro corpo fluisce una possente energia fisica. In questo stadio acquista fondamentale importanza la recitazione dei suoni trascendentali (mantra-japa) come forma di servizio devozionale al Signore. Attraverso l'intima sottomissione a Dio si può raggiungere ogni perfezione. Acquisita una profonda pulizia mentale e fisica, ora lo yogi può cominciare ad affrontare le tecniche meditative vere e proprie. Prima di tutto è importante sedersi in modo corretto, e questo è materia dello stadio successivo.

Asana significa imparare a sedersi in posizioni corporee stabili e comode. Imparate queste, le perturbazioni mentali e i fastidi fisici causati dalle dualità (come il caldo e il freddo, la fame e la sazietà, il buio e la luce) si attenuano e siamo pronti ad affrontare la meditazione.

Ora si deve imparare a controllare il respiro, e questa tappa (o stadio) è chiamata pranayama, diviso in quattro momenti. Seduti comodamente in asana di vario genere, si deve passare a controllare l'inspirazione e la espirazione. I tempi che passano fra l'uno e l'altro devono diventare sempre più prolungati e sottili, per cui il momento in cui si trattiene il respiro nei nostri polmoni è il terzo stadio del pranayama. Il quarto momento del pranayama è la contemplazione, durante la quale si avvertono sensazioni estatiche, qualunque cosa si osservi. A quel punto la luce della piena conoscenza si accende e la mente diventa ancor più idonea alla concentrazione totale.

Poi c'è pratyahara, la rinuncia della mente alle impressioni dei sensi che provengono dalle immagini sensoriali. Lo yogi deve rinunciare a provare piacere da qualsiasi cosa che provenga dall'esterno di sé, che sia di natura materiale. A quel punto il controllo sulle influenze del mondo dei sensi è quasi raggiunto.
Tratto da: Anonimo
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Capitolo terzo (III pada)

Vediamo ora il Capitolo Terzo dello Yoga-sutra, il Vibhuti-Pada, che riguarda i poteri mistici che è possibile sviluppare grazie alla pratica dello Yoga. In questo capitolo Patanjali descrive i numerosi poteri (vibhuti) che si possono acquisire.

Il capitolo comincia continuando la trattazione delle otto tappe (astanga). Ora giungiamo alla meditazione vera e propria.

Dharana, infatti, significa concentrazione e consiste, per l'appunto, nello sforzo di focalizzare la mente su un determinato oggetto.

Lo stadio successivo è dhyana, e insegna a mantenere ferma la concentrazione.

Si raggiunge samadhi quando la mente diventa un tutt'uno con l'oggetto su cui si medita, con "l'idea" spirituale che è alla base di ogni ente.

Questi ultimi tre sono momenti diversi di un'unica tappa, tanto che vengono chiamati samyama, in cui la concentrazione diviene esclusiva. Appena conquistiamo il controllo sulle nostre capacità di isolarci dai disturbi esterni, la sapienza comincia a farsi largo nel nostro intimo.

Se lo compariamo agli altri cinque che lo precedono (yama, niyama, asana, pranayama e pratyahara), il samyama è uno stadio in cui il praticante si è già rivolto all'interno di sé ma, paragonato al samadhi profondo, appare chiaro che non è ancora giunto alla perfezione.

Ora Patanjali previene un tipo di obiezione: non è forse vero che l'atto stesso, lo sforzo di eliminare le impressioni sottili generate dal karma, può causare ulteriori condizionamenti? Il saggio risponde che l'abitudine di concentrare la mente e di trascinarla in uno stato di pura consapevolezza, produce qualcosa di molto simile a un flusso continuo, privo di interruzioni qualitative, per cui dopo un po’ la mente si acquieta. Con la concentrazione assoluta su un oggetto la mente si acutizza e diviene ferma, finché ogni distinzione di forma, tempo e stato scompaiono. Essere condizionati significa cadere vittima delle trasformazioni che avvengono nella tridimensionalità del tempo (passato, presente e futuro).

Ma cosa si ottiene con questa concentrazione totale su un oggetto? Patanjali risponde:

Dal samyama sulle tre mutazioni temporali scaturisce la conoscenza del passato e del futuro. Concentrandosi su una parola, sul suo significato e sulla sua pronuncia è possibile comprendere tutti i linguaggi delle varie forme di vita (umane, animali e anche vegetali). Praticando il samyama sulle proprie eredità mentali sottili, lo yogi acquista conoscenza delle sue vite precedenti. Esercitandolo sui segni corporei di un'altra persona, può giungere a conoscerne la mente e la psiche. Se si concentra sulla propria forma corporea, sparisce la possibilità di percezione dall'esterno e lo yogi diviene invisibile. Esistono due tipi di karma: quello che genera frutti immediati e quello che invece li produce nel tempo. Meditando sul karma (o meglio su adrishta, i segni karmici visibili dall'esterno) si può predire l'ora della propria o dell'altrui morte. Meditando sulle virtù si può guadagnare una grande forza, persino quanto il più forte degli animali. Dirigendo i sensi sottile dentro di noi, si può ottenere la conoscenza dell'occulto. Se ci concentriamo saldamente sul sole possiamo conoscere il cosmo e il sistema solare, e se lo facciamo sulla Luna conosciamo tutto ciò che riguarda le galassie stellari. Praticando samyama sulla punta del naso, lo yogi acquista conoscenza e controllo della forza vitale, il prana, l'energia che permea l'intero universo. Con la meditazione sull'ombelico si giunge a poter controllare completamente gli organi corporei. Chi si sforza di riflettere sull'incavo della gola, ottiene libertà dalle schiavitù dei bisogni del corpo, come la fame e la sete. Esercitando il samyama sul nervo kurma (che è alla base della spina dorsale, vicino al plesso sacrale) è possibile guadagnare totale imperturbabilità e incrollabile sicurezza. Meditando sull'aureola che emana dal capo, si ottiene la visione e il contatto con le anime liberate. Attraverso l'illuminazione, che è uno sta-to di completa conoscenza, si ottiene il raggiungimento di ogni conoscenza potere e saggezza. Concentrando l'attenzione sul cuore, si raggiunge la conoscenza del pensiero altrui.

Ma, afferma Patanjali, tutti questi poteri non devono confondere lo yogi; lo scopo finale giusto, infatti, non è di diventare potenti in questo universo materiale, il quale è il reame dove maya esercita il proprio dominio. Solo dalla meditazione sulla qualità spirituale dell'anima si può trarre la conoscenza perfetta del Purusha, il Dio Personale. Da questa realizzazione sorge la luce suprema da cui procede la percezione del mondo spirituale.

Certo, continua Patanjali, la manifestazione dei poteri è sintomo che la pratica è corretta, ma allo stesso tempo questi possono essere un impedimento alla trance estatica, in quanto lo yogi può attaccarsi al senso di potenza che ne deriva.

Poi il saggio va avanti a descrivere altre vibhuti.

Per uno yogi è possibile penetrare nel corpo di un altro. Conquistando il respiro chiamato udana, gli è possibile camminare sull'acqua, diventare insensibile al dolore e può anche abbandonare il proprio corpo nel momento che considera più opportuno. Una luce soffusa circonda il praticante nel momento in cui giunge a controllare il respiro chiamato samana. Praticando samyama sullo spazio (o etere, akasha), lo yogi sviluppa un udito perfetto e senza limite alcuno. Esercitando la ferrea concentrazione sulle relazioni sottili che intercorrono fra il proprio corpo e lo spazio etereo, lo yogi diventa leggero e può levitare fino ad attraversare il cielo. Si può raggiungere uno stato di conoscenza priva di veli quando ci si concentra sulle onde mentali extracorporee. Praticando samyama sugli elementi materiali e sulle loro funzioni si raggiunge il dominio sugli elementi che compongono il corpo; perciò egli può ridursi fino a diventare piccolo come un atomo, oppure ingigantirsi a piacimento, o fare del proprio corpo ciò che vuole. Glorificandolo, si raggiunge la bellezza e il vigore. Dal samyama sui sensi consegue il dominio degli stessi; dunque, tra le altre cose, è possibile spostarsi con la velocità del pensiero, trasformare un oggetto in un altro e governare i fenomeni della natura. Grande sapere e potere sono i frutti del samyama esercitato sulla distinzione fra Purusha (soggetto spirituale) e sattva (oggetto materiale). Ma, ammonisce ancora Patanjali, solo distaccandosi da questi poteri è possibile l'eliminazione del seme dell'interesse personale e raggiungere la liberazione.

Ma ci sono altre tentazioni contro le quali il saggio mette in guardia i suoi studenti. Quando il praticante diviene potente, i Deva vengono da lui e lo invitano a gioire delle favolose delizie dei loro pianeti. Chi cade in questa trappola, dopo un certo periodo di tempo deve lasciare quei paradisi e ricadere nel circolo vizioso della materialità grossolana. Per evitare questi pericoli si deve meditare sullo scorrere del tempo e ottenere così la consapevolezza della Verità Suprema come qualcosa che è al di là di ogni aspetto di questo mondo. Allora si realizza la differenza tra il reale e l'irreale. Quella conoscenza che dà la liberazione nasce dalla discriminazione (appunto tra il vero e il falso).

Studiando e praticando la dimensione della Purezza Assoluta (Ishvara, Krishna, la Suprema Personalità di Dio) è possibile raggiungere la liberazione finale.

Capitolo quarto (IV pada)

Vediamo ora il capitolo quarto, il Kaivalya-Pada, che riguarda il raggiungimento della liberazione.

Patanjali comincia questo quarto e ultimo capitolo concludendo il precedente e affermando che è possibile che qualcuno possegga questi poteri mistici anche per nascita (cioè da una eredità di pratiche yogiche svolte in qualche vita precedente), mediante droghe (ma il loro effetto è estremamente circoscritto nella qualità e nel tempo), grazie alla concentrazione sulla recitazione di mantra, e anche attraverso le austerità e il samadhi.

Poi introduce l'argomento della liberazione, spiegando che il passaggio da un corpo all'altro accade per l'azione della natura materiale. E' lei infatti che concede i risultati delle azioni, le quali non sono le cause dirette, ma solo e sempre secondarie. Chi desidera avanzare nella vita spirituale, deve eliminare gli ostacoli che si frappongono fra lui e il suo fine, proprio come un contadino che rimuove gli ostacoli per facilitare il cammino dell'acqua in direzione dei terreni coltivati.

L'azione della mente può essere uno di questi ostacoli. In questo mondo illusorio le menti procedono dal falso ego, il quale (lo ricordiamo) è l'identificazione con qualcosa che non si è. Ogni essere vivente ha una propria mente, ma la sorgente originale di tutte queste è una sola e può controllarle tutte. Solo coloro che meditano sul Supremo sono liberi da ogni desiderio insano.

Le attività di uno yogi realizzato non sono né positive né negative, bensì trascendentali, mentre per le persone comuni possono essere buone, cattive o di natura mista. In questa vita noi non possiamo essere nulla di diverso da una conseguenza del karma accumulato nelle vite precedenti. Non importa dove e come si nasca, all'esterno siamo un effetto di cause passate. E questo processo non conosce inizi, in quanto è provocato dai desideri, che sono eterni.

Dunque, come è possibile liberarsi da questa schiavitù? Essendo legati fra di loro in una stretta relazione di causa ed effetto, questi ultimi (gli effetti) svaniscono quando scompaiono le cause.

Proprio per questa ragione, il passato, il presente e il futuro sono indissolubilmente legati fra di loro. In realtà anche il passato e il futuro sono già presenti, sebbene la loro attuazione abbia luogo in momenti diversi. Così come per i diversi tipi o qualità di desideri, anche i tre momenti (passato, presente e futuro) risentono dell'azione dei guna.

La percezione delle cose e delle situazioni sono soggettive. Infatti, pur variando secondo leggi precise, mantengono sem-pre la stessa essenza. Ogni cosa è vista in modo differente dipendendo dal soggetto che la osserva, in quanto le esperienze sensibili sono dovute dalla "colorazione" che la mente subisce quando giunge a contatto con l'oggetto in questione. Infatti la stessa pietanza può apparire buona a una persona e sgradevole a un'altra. Non esiste una mente sola per tutti. Ma la mente suprema dalla quale scaturiscono tutte le menti individuali è Una, ed è quella del Signore.

Egli è il conoscitore delle modificazioni della mente e mai Egli le subisce. La mente dell'anima individuale non brilla di luce propria, dal momento che essa stessa è percettibile. Il jivatma (l'anima individuale) e il Paramatma (l'Anima Suprema, Dio) sono entità diverse: non sono un tutt'uno. La mente è materiale e il Paramatma è spirituale. Se noi possedessimo un'altra mente che illuminasse e conferisse vita alla nostra (teoria che vorrebbe eliminare l’esistenza di un Purusha supremo), si genererebbe un processo a regressione infinita che provocherebbe solo confusione di memoria e cancellerebbe ogni percezione.

Ma Ishvara è perfetto nella consapevolezza di sé e di tutto il resto per cui, quando una mente si accosta a Lui, si purifica e acquista perfetta coscienza della propria natura spirituale. Così raggiunge la saggezza. Illuminata dal Signore Supremo, è nella giusta posizione per poter conoscere ogni cosa. Sempre spinta all'azione da innumerevoli desideri, sempre attratta a qualche obiettivo, la nostra attenzione deve invece dirigersi verso il Purusha.

In questo stato di purificazione, il potere di discriminazione si consolida, e diventa automatico rifiutare l'identificazione dell'io con il non-io. In altre parole, capisce che il sé è di natura spirituale e non materiale. Man mano che la capacità di discriminare si perfeziona, la natura divina che è nostra si avvicina e la mente non può più fare a meno di viaggiare in quella direzione fatata. E raggiunge kaivalya, la liberazione finale.

Gli ostacoli, ribadisce il saggio Patanjali, sono dunque costituiti dai pensieri che scaturiscono dalle impressioni delle azioni e dalle abitudini passate. Distruggere quei pensieri di natura materiale equivale a sconfiggere l'ignoranza.

Con il consolidarsi della perfetta discriminazione e con il conseguente risveglio dei poteri mistici, si entra in uno stato di assoluta concentrazione spirituale. E qui ogni sofferenza ed ansia conosce la sua fine.

Quando l'impurità e il velo dell'illusione sono spazzati via, la conoscenza si dirige verso l'infinito e tutti gli oggetti di conoscenza facenti parte di questo mondo perdono ogni importanza. Avendo raggiunto lo scopo ultimo e vero della vita, i mutamenti causati dalle influenze della natura materiale giungono al termine. Non c'è più il passato e il futuro, tutto esiste in un illimitato presente, e le dualità hanno cessato di influenzare.

Solo in questo momento otteniamo la nostra posizione trascendentale originale, dotati di un corpo composto di elementi spirituali, parte dell'energia superiore del Purusha.


Alcune riflessioni

Come ogni testo classico della filosofia indiana, lo Yoga-sutra ha beneficiato (e in troppi casi si dovrebbe dire subito) numerosissimi commenti. Da questa breve esposizione dovrebbe risultare chiaro a tutti come lo Yoga non è un sistema a se stante, ma una sezione, o disciplina, della scienza vedica. Questa infatti è perfettamente in linea sia con i significati che con le conclusioni corrette dei Veda (il Vedanta), sia con il Sankhya, il Mimamsa e con tutti gli altri.

Lo Yoga è un processo completo, che comprende in un unico sistema due aspetti importanti della pratica necessaria alla liberazione, e cioè uno Yoga "attivo" (Kriya-yoga), che prende in esame le azioni esterne necessarie alla purificazione, e uno Yoga meditativo (Raja-yoga), composto di concentrazioni, di raccoglimenti, di recitazione di suoni sacri (mantra) e altro. Ripetiamo che tutto ciò è in linea con i siddhanta vedici.

Viene chiaramente espressa l'idea di un Dio personale (Ishvara o Purusha), così come lo è il principio di una jiva di natura spirituale che è differente dall'Origine di ogni cosa.

Qualcuno potrebbe far notare che alcuni aspetti sono stati approfonditi maggiormente di altri, come quelli riguardanti il controllo della mente, le pratiche di purificazione necessarie alla meditazione, mentre certi sono stati sfiorati solo marginalmente. E questo, secondo gli avversari, potrebbe giustificare una collocazione del sistema di Patanjali in un contesto non vedico.

Ma non è così. Le differenze fra i vari sistemi è perfettamente normale. Lo Yoga è un Darshana, una prospettiva diversa dello stesso Oggetto di analisi, che è Dio, l'Essere Supremo. Se ogni libro dicesse esattamente le stesse cose e prendesse in considerazione allo stesso modo ogni argomento, perché scriverne più di uno?

Qualcuno dice che lo Yoga-sutra non è un testo filosofico, ma esclusivamente pratico. Certo, la parte dedicata alle discipline è rilevante, ma affermare che non contenga filosofia è quanto meno esagerato, se non falso. Ripetiamo: ogni Darshana è come un capitolo di un stesso libro e va in direzione del medesimo fine.

Lo Yoga-darshana ha una sua funzione precisa, che è quella di indicare i mezzi e le ragioni della purificazione del sé. Ma i tratti filosofici in comune con gli altri risultano evidenti agli occhi di chiunque voglia vedere.

Come spesso è accaduto nella storia della filosofia dell'India, le differenze nei canoni fondamentali non sono dovuti all'autore originale ma ai suoi commentatori. In questo modo lo Yoga è divenuto preda di atei, la cui sola intenzione è di guadagnare poteri mistici, di impersonalisti, che vogliono fondersi nel Brahman Assoluto e privo di qualità (nirguna) e, ai giorni nostri, di persone banali che l'hanno commercializzato per ottenere stupidi vantaggi materiali, quali dimagrire o aumentare le proprie capacità sessuali.

Ma lo Yoga è ovviamente ben altro.

Tratto da: Anonimo
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 Frammenti essenziali

Ringrazio Meditazione nel web » Risorse » Yoga Sutra di Patanjali

I, 1 - Ora segue un'esposizione dello Yoga.
I, 2 - Lo Yoga è la scienza del controllo delle attività mentali.
I, 3 - Chi ha la mente completamente serena e stabile diventa consapevole della sua vera natura.
I, 4 - Per tutto il tempo che la mente resta attiva, l'uomo si identifica con la sua mente.
Omissis
I, 12 - Il controllo mentale si sffettua grazie all' abhyasa (esercizio) e al vairagya (disaffezione).
I, 13 - L'abhyasa è lo sforzo persistente per dominare e controllare le diverse attività mentali.
I, 14 - Dopo una lotta lunga e ininterrotta, l'abhyasa, se applicato con scrupolo e devozione, diventerà un'abitudine, un modus vivendi.
I, 15 - Il vairagya è lo stato in cui si riesce a superare il desiderio delle cose e degli oggetti materiali.
I, 16 - Il vairagya assoluto deriva dalla consapevolezza del sé.
Omissis
I, 19 - Alcune persone nascono yogi.
I, 20 - Altri hanno successo nello Yoga solo grazie alla fede, agli sforzi persistenti, alla memoria e all'applicazione di un acuto intelletto.
I, 21 - Hanno successo nello Yoga e anche abbastanza in fretta quelle persone che lo vogliono con più forza.
I, 22 - La misura del successo nello Yoga dipende dal fatto se lo si cerca poco, con moderazione o intensamente.
Omissis
I, 30 - Malattie, negligenza e rilassamento, dubbio, disattenzione, pigrizia, interessi mondani, opinioni sbagliate, insuccessi e instabilità sono gli ostacoli che distraggono la mente.
I, 31 - Afflizione, disperazione, mancanza di controllo del corpo e respirazione irregolare sono i sintomi di una mente non controllata.
I, 32 - Per la rimozione degli ostacoli, dovrebbe esserci la pratica costante di un principio.
I, 33 - La mente si calma quando adotta un atteggiamento mentale di simpatia per la felicità, di compassione per l'infelicità, di allegria per il bene e di indifferenza al male.
I, 34 - La tranquillità mentale viene favorita anche dalla pratica di alcuni esercizi di respirazione.
I, 35 - La crescente forza delle facoltà mentali aiuta a rendere stabile la mente.
I, 36 - Anche la serenità della mente segue alla consapevolezza della luce interiore.
I, 37 - La mente si calma e si rassegna pensando a un altruista.
Omissis
I, 41 - Come un cristallo può riflettere i colori dell'ambiente circostante, così nella mente che ha eliminato ogni elemento perturbante, conoscente, conoscenza e oggetto della conoscenza diventano una cosa sola.
Omissis
II, 3 - Le cause della sofferenza sono avidya, asmita, raga, dvesa e abhinivesa.
II, 4 - Avidya è la ragione, la causa prima delle altre cause del dolore, siano esse sopite, difficilmente rilevabili, sporadiche o travolgenti.
II, 5 - Avidya significa scambiare il limitato, l'impuro, il dolore e il non io rispettivamente per l'eterno, il puro, il bene e il sé.
II, 6 - Asmita significa identificare il veggente con lo strumento delle sue visioni.
II, 7 - Raga, ossia l'affezione, deriva dal piacere.
II, 8 - Lo Dvesa, o avversione, deriva dal dolore.
II, 9 - L'Abhinivesa, o attaccamento smodato alla vita, domina anche il sapiente.
Omissis
II, 11 - Con la meditazione si devono sopprimere le manifestazioni dei cinque klesa (ostacoli).
II, 12 - Si possono acquistare le basi di partenza dei klesa dissolvendoli nel loro stato causale.
Omissis
II, 26 - La pratica ininterrotta della discriminazione è il mezzo per la distruzione dell'avidya, o non conoscenza spirituale.
Omissis
II, 28 - Con la pratica delle diverse fasi dello Yoga si distruggono le impurità della mente e si sviluppano la conoscenza spirituale e la consapevolezza della Realtà.
II, 29 - Gli otto gradi dello Yoga sono: Yama (astensione) - Niyama (osservanza) - Asana (posizioni yoga) - Pranayama (controllo della respirazione) - Pratyahara (ritrazione dei sensi) - Dharana (concentrazione) - Dhyana (meditazione) - Samadhi (identificazione).
II, 30 - Yama sono le astensioni dalle offese, la continenza, l'astensione dall'avidità, la sincerità e l'astensione dal furto.
Omissis
II, 32 - Niyama sono la purezza, l'appagamento, l'austerità, lo studio e la devozione per la divinità.
II, 33 - Per annientare i pensieri impuri, si dovrebbero meditare i pensieri opposti.
II, 34 - I pensieri e le azioni impure - leggeri, medi o intensi; commessi intenzionalmente, provocati o istigati; come sfogo di rabbia, di avidità o confusione - producono dolore, sofferenza e ignoranza. Si deve applicare quindi il metodo di sostituirli con pensieri opposti.
Omissis
II, 41 - Dalla purezza mentale deriva il buonumore, la capacità di concentrarsi e il controllo sui sensi. In questo modo la mente sarà pronta per la realizzazione del sé.
II, 42 - Dall'appagamento deriva una grande felicità.
II, 43 - Si arriva alla perfezione degli organi sensoriali e del corpo distruggendo le impurità per mezzo dell'austerità e dell'ascesi.
Omissis
II, 46 - Asana è una posizione yoga stabile e confortevole.
Omissis
II, 49 - Quando ci si è impadroniti di un asana, si ottiene di conseguenza il pranayama, o controllo della respirazione.
Omissis
II, 53 - Attraverso la pratica del pranayama la mente diventa pronta per il dharana.
II, 54 - Pratyahara è il distacco dei sensi dagli oggetti sensoriali.
Omissis
III, 1 - Il dharana è la condizione in cui la mente si concentra su un solo oggetto.
III, 2 - Il dhyana è la condizione in cui si fa continuamente attenzione all'oggetto della concentrazione.
III, 3 - Il samadhi è la condizione in cui si è coscienti solo dell'oggetto della meditazione e non si ha consapevolezza della mente.
III, 4 - Dharana, dhyana e samadhi insieme costituiscono il samyama.
III, 5 - Dalla piena padronanza del samyama deriva una conoscenza più elevata.
Omissis
III, 7 - Il dharana, il dhyana e il samadhi sono interiori rispetto alle cinque precedenti fasi.
III, 8 - Ma anche il dhyana e il samadhi sono esterni in rapporto al nirbija samadhi.
III, 9 - Il nirodha parinama, o sviluppo dell'arresto degli stati di coscienza, è la trasformazione con cui la mente si viene abituando al momento dell'arresto degli stati di coscienza esistente tra un pensiero in partenza e un pensiero in arrivo.
Omissis
IV, 29 - Se si resta disinteressati anche di fronte alla spiegazione più grande e si è in grado di praticare la discriminazione più alta, ne seguirà il dharma-mega-samadhi.
Omissis





A Patanjali si deve la codifica, o la compilazione sistematica, 
dell'arte e della scienza dello Yoga nello Yoga Sutra. Il testo 
illustra in sintesi il cammino Yoga volto alla Realizzazione del Se'. La compilazione di Patanjali si può far risalire a un'epoca tra il 400 e il 200 AC, ma la tecnica illustrata sembra fosse praticata fin dall'antichita'.

L'istruzione detta dello Yoga Regale (RajaYoga) si fonda sulla 
definizione di un sapere metafisico applicato, realizzato 
nell'esperienza dello yogi, come raggiungimento della stabilizzazione della consapevolezza nell'Essere. Tale condizione si situa nel Kaivalya, o isolamento, oltre le miserie e le sofferenze del vivere, oltre le fugaci acquisizioni del mondo o dello spirito, come il nucleo di pura coscienza, indipendente e assoluto. 
L'esperienza di realizzazione della natura assoluta dell'Essere, 
conseguita attraverso lo Yoga, non è differente dal principio 
enunciato nelle Upanisad, nella Bhagavad Gita e nella tradizione 
Vedanta nel suo insieme. Lo Yoga, quale "mezzo" ha il compito di 
illustrare all'aspirante le condizioni coscienziali preliminari e 
intermedie che sopraggiungono durante la ricerca. Secondo questo 
sistema, tutti i fenomeni, ordinari e straordinari, che si affacciano alla percezione dell'aspirante hanno come finalita' la sua istruzione, e la purificazione dai desideri e dalle sofferenze. Il trattato è perciò limpido e diretto nel descrivere esperienze di natura soprasensibile e intuizioni spirituali, come altrettante modificazioni della mente, che non intaccano il testimone cosciente, lo sperimentatore, istruito a distaccarsi dalla forza attrattiva del mondo materiale come di quello sottile, per conseguire la libertà  piena dell'essere. Questa condizione abbraccia e comprende ogni altra, inferiore, nella coscienza profonda della natura reale di tutto l'esistente, visibile e invisibile. Le istruzioni che si susseguono nei quattro capitoli, sono di carattere pratico, minuziose, attente a cogliere i desideri di potenza e di conoscenza che il ricercatore puo' trovarsi ad affrontare nel cammino. Tali desideri offrono in ogni luogo la possibilità di comprendere il come e il perché delle forme di questo universo e della mente, essendo i nostri impulsi la matrice di ogni esistente. Attraverso la pratica della meditazione insegnata da Patanjali, il ricercatore emerge dal mondo delle illusioni mentali all'Isolamento - Liberazione, l'identità con il soggetto testimone, coscienza e conoscenza di tutto.


Libro Primo: Samadhi Pada del Samadhi

1. [Si illustra] ora la disciplina dello Yoga 
2. Yoga e' l'arresto delle modificazioni mentali.
3. A questo punto il testimone e' stabile in se stesso.
4. Negli altri stati esiste identificazione con i mutamenti della 
mente.
5. Le modificazioni della mente sono cinque. Possono essere dolorose o non dolorose.
6. Esse sono: retta conoscenza, falso sapere, immaginazione, sonno e memoria.
7. La retta conoscenza ha tre fonti: percezione diretta, deduzione e testimonianza.
8. Il falso sapere e' un costrutto che non corrisponde alla realtà.
9. Immaginazione e' un'attività mentale evocata da parole, priva di fondamento.
10. La modificazione della mente fondata sull'assenza di ogni 
contenuto e' il sonno.
11. La memoria e' la rievocazione di precedenti esperienze.
12. L'arresto delle modificazioni della mente si raggiunge con una pratica continua e con il distacco dalle passioni.
13. La pratica consiste nell'esercitarsi con costanza al fine di 
raggiungere la quiete.
14. La pratica diventa una realtà acquisita solo dopo un esercizio lungo, ininterrotto e compiuto con profonda dedizione.
15. Il primo stato di assenza di desiderio, o vairagya, si ottiene allorché coscientemente non si indulge più nella ricerca dei piaceri sensoriali.
16. Lo stato supremo di assenza di desiderio si verifica quando tutti i desideri cessano, in seguito alla scoperta della natura più intima del Purusha, il Se Supremo.
17. Il samadhi con seme è accompagnato dal ragionamento, dalla 
riflessione, dalla beatitudine e da un senso di puro essere.
18. Nel samadhi senza seme, invece, si ha un arresto di ogni lavorio della mente, e la mente conserva solo impressioni non manifeste.
19. Il samadhi senza seme è conseguito dagli spiriti illuminati che hanno lasciato il corpo, o Videha, e dagli esseri i cui corpi vengono riassorbiti dalla natura, o prakriti-laya. Essi torneranno a rinascere in quanto conservano i semi del desiderio.
20. Altri conseguono il samadhi senza seme mediante la fede, lo 
sforzo, il raccoglimento, la concentrazione e la capacità di 
discriminare.
21. Il successo è più vicino a quanti compiono un percorso intenso e sincero.
22. Le possibilità di successo variano a seconda della forza della volontà .
23. La realizzazione può essere ottenuta anche mediante la devozione a Dio, Ishvara.
24. Dio è il sommo Se. Egli è intocco dalle pene della vita, dalle azioni e dalle loro Conseguenze.
25. In Dio è il supremo principio di Consapevolezza e la conoscenza suprema.
26. Essendo al di la di ogni limitazione temporale egli è altre sì il Maestro dei Maestri.
27. Egli è conosciuto in quanto AUM.( Om )
28. Si deve ripetere e meditare sull'AUM.
29. La ripetizione e la meditazione sull'AUM comportano la scomparsa di tutti gli impedimenti e il risveglio della consapevolezza rivolta all'interno.
30. Gli impedimenti di una mente distratta sono: malattia, apatia, dubbio, negligenza, indolenza, sensualità, delusione, impotenza nel conseguire uno stato di realizzazione e instabilità nell'immergersi in essa, allorché la si raggiunga.
31. I sintomi di questi fattori di distrazione sono: angoscia, 
disperazione, instabilità e irregolarità del respiro.
32. Per rimuovere questi fattori, si mediti su un unico principio, o ekagrata.
33. La mente diviene quieta coltivando un atteggiamento di amicizia, di compassione per i sofferenti, di equanimità verso felicità e dolore, virtù e vizio.
34. La mente si acquieta anche con il controllo dell'ispirazione e la successiva ritenzione dei respiro, o prana.
35. Oppure con percezioni sensoriali straordinarie, che stabilizzino la mente su se stessa.
36. Oppure, si mediti sulla luce interiore, che è fonte serena e al di la di ogni tristezza.
37. Oppure, si mediti su un essere che abbia conseguito il distacco dai desideri.
38. Oppure, si mediti sulla consapevolezza che sorge durante il sonno.
39. Oppure, si mediti su qualsiasi cosa si adatti a voi naturalmente.
40. In questo modo, lo yogin acquisterà padronanza di ogni cosa, 
dall'atomo infinitesimale fino alla magnificenza dell'universo.
41. Allorché l'attività della mente viene posta sotto controllo, la mente diviene pura come un cristallo, e riflette con precisione, senza distorsione alcuna, colui che percepisce, ciò che viene percepito, e lo stesso ente che percepisce.
42. Savitarka samadhi, è il samadhi in cui lo yogin è ancora incapace di discriminare tra vera conoscenza, conoscenza basata sulle parole e conoscenza fondata sul ragionamento o le percezioni dei sensi, che permangono nella mente in forma confusa, mescolandosi tra loro.
43. Il Nirvitarka samadhi si consegue allorché la memoria viene 
purificata e la mente è in grado di percepire la vera natura delle cose, senza contaminazione alcuna.
44. Le spiegazioni fatte per il Savitarka samadhi e per il Nirvitarka samadhi, chiariscono anche i livelli di samadhi più elevati, ma in quegli stati, detti Savichara samadhi e Nirvichara samadhi, gli oggetti di meditazione sono di gran lunga più sottili.
45. La regione dei samadhi connessa con questi oggetti più sottili si estende fino allo stadio privo di forma delle energie sottili.
46. Questi samadhi frutto della meditazione su un oggetto sono detti samadhi con seme, e non danno libertà dal ciclo della rinascita.
47. Allorché si consegue la purezza suprema nello stato di 
Nirvichara Samadhi, si ha il sorgere di una luce spirituale.
48. In questa calma interiore, data dal Nirvichara samadhi, la 
consapevolezza si colma di verità.
49. Nello stato di Nirvichara samadhi, l'oggetto viene sperimentato nella sua dimensione reale, poiché in questo stato si consegue una conoscenza diretta, libera dall'utilizzo dei sensi.
50. Le percezioni che si conseguono nel Nirvichara samadhi 
trascendono tutte le percezioni normali sia per estensione che per intensità.
51. Allorché questo controllo su tutte le altre forme di controllo viene trasceso, si consegue il samadhi senza seme, e con esso si e' liberi dalla vita e dalla morte.


Libro secondo: Sadhana Pada del sentiero


1. Lo yoga di tipo pratico, o Kriya yoga, ha un compito introduttivo, ed è costituito da ascesi, studio del Se' abbandono a Dio. 
2. La pratica del Kriya Yoga riduce la miseria e l'afflizione (klesa) e conduce al samadhi.
3. La miseria o infelicità è prodotta da: mancanza di consapevolezza, o avidya, egoismo, passioni, avversioni, attaccamento alla vita e paura della morte.
4. Sia che sussistano in forma latente, in forma attutita, alterata o in piena attività, è grazie alla mancanza di consapevolezza, o avidya, che le altre fonti di infelicità possono operare.
5. Mancanza di consapevolezza, o avidya, è prendere ciò che è caduco per eterno, ciò che è impuro per puro, ciò che arreca dolore per piacere e il non-se' per il Se'.
6. Egoismo è l'identificazione di colui che vede con la cosa vista.
7. Si ha attrazione, e per suo tramite attaccamento, verso qualsiasi cosa arrechi piacere.
8. Si ha repulsione verso qualsiasi cosa arrechi dolore.
9. Nel fluire della vita è la paura della morte, l'attaccamento alla vita. Esso domina tutti, perfino il saggio.
10. Le fonti delle cinque sofferenze possono essere annullate, 
riconducendole alla loro fonte originaria.
11. Le manifestazioni esteriori di queste cinque fonti di sofferenza scompaiono attraverso la meditazione.
12. Sia che si adempiano nel presente, oppure nel futuro, le 
esperienze karmiche hanno le loro radici nelle cinque fonti di 
sofferenza.
13. Finché la radice permane, il karma si adempie in rinascite, 
tramite le classi sociali, la lunghezza della vita e il tipo di 
esperienze che si vivranno.
14. La virtù porta piacere; il vizio arreca dolore.
15. La persona in grado di discriminare realizza che tutto arreca 
infelicità a causa dei mutamenti, dell'ansia, delle esperienze 
passate, e dei conflitti che sorgono tra i tre attributi, o guna, e le cinque modificazioni della mente.
16. Si deve evitare la sofferenza futura.
17. Si deve spezzare il legame tra colui che vede e la cosa vista, in quanto arreca infelicità.
18. La cosa vista, che è formata dagli elementi e dai sensi ha come natura la stabilità, l'azione e l'inerzia, e ha come fine dare esperienza e quindi la liberazione al veggente.
19. I tre guna - stabilità, azione e inerzia - hanno quattro stadi: il definito, l'indefinito, il differenziato e il non manifesto (indifferenziato).
20. Il veggente, sebbene sia pura consapevolezza, vede attraverso le distorsioni della mente.
21. La cosa vista esiste in funzione di colui che vede.
22. Sebbene la cosa vista sia morta per colui che consegue la 
liberazione, essa è viva per gli altri in quanto è elemento comune a tutti.
23. Il veggente e la cosa vista si presentano insieme, in modo tale che sia possibile realizzare la vera natura di ognuno di essi.
24. La causa di questa unione è ignoranza, o avidya.
25. La dissociazione di colui che vede e della cosa vista prodotta dell'ignoranza è il rimedio che arreca liberazione.
26. La pratica costante del discernimento tra ciò che è reale e ciò che è irreale, è il mezzo per la soluzione dell'ignoranza.
27. Lo stadio più elevato dell'illuminazione si consegue in sette 
passi.
28. Praticando il tirocinio dello yoga per distruggere l'impurità, si consegue l'illuminazione spirituale che conduce nella consapevolezza del reale.
29. Gli otto mezzi dello yoga sono: yama (autocontrollo), niyama 
(osservanze), asana (posizione), pranayama (controllo del respiro), pratyahara (astrazione), dharana (concentrazione), dhyana (meditazione), samadhi (contemplazione).
30. Autocontrollo, o yama, è il primo passo dello yoga, e si compone dei cinque voti seguenti: non violenza (ahimsa), veridicità (satya), onestà (asteya), continenza (brahmacharya), e non possessività (aparigraha).
31. Questi cinque voti, che formano il grande voto, si estendono a tutti e sette gli stadi dell'illuminazione senza riguardo alla 
classe, al luogo, al tempo o alle circostanze.
32. Purezza, appagamento, austerità, studio, e abbandono a Dio sono le cinque leggi, o niyama, da osservare.
33. Quando la mente è disturbata da pensieri nocivi, medita sui loro opposti.
34. I pensieri nocivi sono la violenza e le altre cause di dolore. Possono essere praticati direttamente, imposti a parole o approvati mentalmente; provengono da sentimenti di cupidigia, ira e altre condizioni di annebbiamento; possono essere moderati, medi o intensi e portano inevitabilmente a dolore e ignoranza. Perciò è necessario coltivare le opposte inclinazioni.
35. Allorché lo yogin è fermamente stabile nella non violenza, coloro che sono in sua presenza abbandonano ogni ostilità.
36. Allorché lo yogin è fermamente stabile nella verità egli consegue i frutti dell'azione senza agire.
37. Allorché lo yogin è fermamente stabile nell'onestà, le ricchezze interiori si presentano a lui da sole.
38. Allorché lo yogin è fermamente stabile nella continenza sessuale, acquista energia.
39. Allorché lo yogin è fermamente stabile nella non possessività, sorge la conoscenza dei "come" e "perché dell'esistenza.
40. Allorché si consegue la purezza sorge nello yogin un disgusto dei proprio corpo e si evita il contatto fisico con gli altri.
41. Dalla purezza mentale sorge allegria, potere di concentrazione, controllo dei sensi, e capacità di realizzare il Se'.
42. Appagati della conoscenza si raggiunge la felicità suprema.
43. L'austerità distrugge le impurità, e con l'insorgere della 
perfezione nel corpo e nei sensi, si risvegliano i poteri fisici e mentali.
44. L'unione con il divino avviene attraverso lo studio del Se'.
45. E' possibile realizzare l'illuminazione totale, arrendendosi a Dio.
46. Le posture (asana) devono essere stabili e comode.
47. Si ha padronanza sulle asana rilassandosi dallo sforzo e 
meditando su ciò che è illimitato.
48. Allorché si ha padronanza sulle asana, si ha un arresto dei 
disturbi prodotti dalle dualità.
49. Il passo successivo, dopo la perfezione delle asana, è il 
controllo dei respiro, che consiste nel trattenere il respiro 
inalando e esalando, oppure arrestando il respiro d'acchito.
50. Esso è interno, esterno o stabile. La durata e la frequenza dei respiri controllati sono condizionate dal tempo e dal luogo, e diventano sempre più prolungate e sottili.
51. Esiste una quarta sfera nel controllo dei respiro, che va oltre le altre tre.
52. A questo punto avviene il riassorbimento dello schermo di luce.
53. Quindi la mente non ostacola la concentrazione.
54. Il quinto componente dello yoga, o pratyahara - il ritorno alla fonte - è il ristabilire l'abilità della mente di controllare i 
sensi, rinunciando alle distrazioni degli oggetti esteriori.
55. Quindi si ha la completa padronanza su tutti i sensi.



Libro Terzo: Vibhuti Pada dei Poteri


1. Dharana, o concentrazione, è il fissarsi della mente sull'oggetto su cui si medita. 
2. Dhyana è l'ininterrotta fissità della mente sull'oggetto.
3. Samadhi si ha allorché la mente si unisce all'oggetto.
4. Questi tre, applicati insieme - dharana, dhyana e samadhi - 
formano samyama, o equilibrio, che si consegue allorché scompaiono soggetto e oggetto.
5. Padroneggiando tutto questo, [emerge] la luce della somma 
consapevolezza.
6. Samyama deve essere applicata nei vari stadi.
7. Questi tre - dharana, dhyana e samadhi - sono interni se 
paragonati ai cinque che li precedono.
8. Tuttavia questi tre sono esterni, se paragonati al samadhi senza seme.
9. Nirodha padnam è la trasformazione della mente allorché essa viene permeata dallo stato di nirodha (o attimo di non mente), stato che interviene per un attimo tra la scomparsa di una impressione e l'avvento di un'impressione successiva.
10.Questo diviene stabile prolungandone e ripetendo nel'esperienza con l'esercizio.
11. Samadhi padnam, o trasformazione interiore, è l'assestarsi 
graduale delle distrazioni e il graduale e simultaneo sorgere della concentrazione in un punto.
12. Ekagrata padnam, o concentrazione in un punto, è la condizione della mente in cui l'oggetto mentale quiescente e quello successivo sono identici.
13. Da ciò che è stato detto negli ultimi quattro sutra, si spiegano anche le proprietà, il carattere e le condizioni di trasformazione negli elementi e nei sensi.
14. Siano essi latenti, attivi o non manifesti, tutte le proprietà sono correlate alla sostanza che ne risulta.
15. La variazione nella trasformazione è prodotta dalla varietà dei processi cui soggiace.
16. Praticando il samyama -nirodh, samadhi e ekagrata - sui tre tipi di trasformazione si perviene alla conoscenza dei passato e dei futuro.
17. Il suono si percepisce confuso e sovrapposto al suo significato e all'idea. Praticando samyama sul suono lo si separa e sorge comprensione dei significati dei suoni prodotti da qualsiasi essere vivente.
18. Osservando le impressioni del passato si ottiene la conoscenza sulle nascite precedenti.
19. Grazie a samyama si può conoscere l'immagine presente nella mente altrui.
20. La percezione che si ottiene tramite samyama non porta a 
conoscere i fattori mentali che sostengono l'immagine nella mente 
altrui, in quanto quello non è l'oggetto dei samyama.
21. Applicando samyama alla forma dei corpo in modo da interrompere il potere di ricezione, si spezza il contatto tra l'occhio di un osservatore e la luce prodotta dal corpo, e pertanto il corpo diventa invisibile.
22. Questo principio spiega altre sì la scomparsa del suono.
23. Praticando samyama sui due tipi di karma, attivo o assopito, 
oppure sui certi segni, si può predire l'esatto momento della morte.
24. Praticando samyama sull'amicizia, o su qualsiasi altra qualità, si ottengono grandi poteri su quella data qualità.
25. Praticando samyama sulla forza di un elefante, si ottiene la 
forza di un elefante.
26. Dirigendo la luce sulla facoltà supersensoriale, si consegue la conoscenza dei sottile, dell'occulto e di ciò che è distante.
27. Praticando samyama sul sole si consegue la conoscenza dei mondi.
28. Praticando samyama sulla luna, si consegue la conoscenza della posizione delle stelle.
29. Praticando samyama sulla stella polare, si consegue la conoscenza del movimento delle stelle.
30. Praticando samyama sull'ombelico, si consegue la conoscenza sulla costituzione dei corpo.
31. Praticando samyama sulla gola, si ottiene l'arresto delle 
sensazioni di fame e di sete.
32. Praticando samyama sul nervo chiamato kurma-nadhi, lo yogin 
realizza l'assoluta immobilità.
33. Praticando samyama sulla luce sotto la corona del capo, si 
acquista la capacità di entrare in contatto con tutti gli esseri 
perfetti.
34. Oppure dal potere di pratibha, l'intuizione, [si perviene a] la conoscenza di ogni cosa.
35. Praticando samyama sul cuore, si ottiene la consapevolezza della natura della mente.
36. L'esperienza è il risultato della incapacità di differenziare il purusha, o pura consapevolezza, dal sattva, o pura intelligenza, sebbene essi siano perfettamente distinti tra loro.
37. Da qui sopravvengono udito, tatto, vista, gusto e olfatto verso fenomeni sottili e la capacità d'intuizione.
38. Questi sono utili allorché la mente è rivolta verso l'esterno, ma sono ostacoli sul cammino del samadhi.
39. Abbandonando le cause che delimitano e conoscendo i passaggi, è possibile entrare nel corpo di un altro essere.
40. Soggiogando il soffio vitale, o udana, lo yogin è in grado di 
levitare e di passare senza contatto sull'acqua, il fango, le spine, eccetera.
41. Soggiogando il soffio equilibrante, o samana, lo yogin è in grado di provocare il fulgore luminoso.
42. Praticando samyama sulla relazione che esiste tra l'organo 
dell'udito e l'etere, diviene possibile un udito soprannaturale.
43. Praticando samyama sulla relazione che esiste tra il corpo e 
l'etere, e al tempo stesso identificandosi con oggetti leggeri,come fiocchi di cotone, lo yogin è in grado di attraversare lo spazio. 
44. Il potere di entrare in contatto con lo stato di consapevolezza esistente all'esterno del corpo mentale, e che pertanto è inconcepibile, è chiamato mahavideha. Tramite questo potere si distrugge lo schermo luminoso.
45. Praticando samyama sopra la grossezza, la natura costante, la 
sottigliezza, l'immanenza e la finalità, si ottiene la padronanza sui panchabhuta, o cinque elementi.
46. Da qui conseguono le altre perfezioni, quali la perfezione del corpo e la rimozione di tutti gli ostacoli.
47. Bellezza, grazia, forza, compattezza adamantina, formano il corpo perfetto.
48. Praticando samyama sul loro potere di percezione degli organi di senso, sulla loro vera natura, sull'egoismo, sull'immanenza e sulle funzioni si ottiene la padronanza sui sensi.
49. Da qui consegue una percezione istantanea, senza l'utilizzo dei corpo, e una completa padronanza sul pradhana, o mondo materiale.
50. Solo dopo aver acquisito la consapevolezza sulla distinzione che sussiste tra sattva e purusha sorge la supremazia universale e l'onniscienza.
51. Quando poi si è liberi da attaccamento rispetto a tutti questi poteri, si distrugge il seme che imprigiona. A quel punto segue kaivaiya, o liberazione.
52. Si dovrebbero evitare qualsiasi attaccamento o orgoglio nei 
confronti del potere delle entità divine che governano i vari livelli esistenziali, poiché questo porterebbe con se' la possibilità di risveglio del male.
53. Praticando samyama sul momento presente, sul momento passato e sul momento che verrà, si ottiene la conoscenza nata dalla 
consapevolezza.
54. Da qui nasce la capacità di distinguere tra oggetti simili che non possono essere indicati da specie, carattere o posizione.
55. La conoscenza superiore nata da tale consapevolezza include la cognizione di tutti gli oggetti, simultaneamente, e opera in 
qualsiasi direzione, nel passato, nel presente e nel futuro.
56. Si consegue la liberazione allorché esiste una eguale purezza tra il purusha e sattva.


Libro quarto: Kaivalya Pada dell'isolamento o Liberazione



1. I poteri vengono rivelati alla nascita, oppure sono conseguiti 
tramite l'uso di droghe, la ripetizione di parole sacre, l'ascesi o il samadhi. 
2. La trasformazione da una classe, specie, o tipo di essere in un altro, avviene tramite lo straripare delle tendenze naturali o 
l'evoluzione delle proprie potenzialità.
3. La causa secondaria non risveglia all'azione le tendenze naturali; si limita a rimuovere gli ostacoli - assomiglia all'irrigazione di un campo: il contadino rimuove gli ostacoli e l'acqua scorre liberamente per suo conto.
4. Le menti individuali discendono unicamente dall'egoismo.
5. Un'unica intelligenza originale dirige le differenti intelligenze.
6. Solo con la meditazione si raggiunge l'intelligenza libera dai 
desideri.
7. L'azione, o karma, dello yogin non è pura ne' impura, mentre 
quella di tutti gli altri è di tre tipi: pura, impura e mista.
8. I tre tipi di karma si manifestano allorché le circostanze si 
rivelano favorevoli alla loro realizzazione.
9. Poiché i ricordi e le impressioni si conservano nel tempo, la 
relazione di causa - effetto permane, perfino allorché è separata da classe, spazio e tempo.
10. E questo processo non ha inizio, in quanto il desiderio di vivere è eterno.
11. Essendo i semi karmici legati insieme, in quanto causa e effetto, gli effetti svaniscono allorché scompaiono le cause.
12. Passato e futuro esistono nel presente, tuttavia non sono 
sperimentati nel presente in quanto sussistono su piani diversi.
13. Siano essi manifesti o non manifesti, il passato, il presente e il futuro partecipano della natura dei guna: sono stabili, attivi o inerti.
14. La qualità di ogni oggetto è data dalla unicità delle proporzioni dei tre guna.
15. Lo stesso oggetto è visto in modi diversi da menti diverse.
16. Un oggetto non dipende affatto da un'unica mente.
17. Un oggetto è noto oppure è ignoto a seconda che la mente 
sia "colorata" da esso, oppure no.
18. Le modificazioni della mente vengono sempre conosciute dal loro signore, il Purusa, o pura consapevolezza che non muta.
19. La mente non brilla di luce propria, dal momento che è essa 
stessa percepibile.
20. E' impossibile per la mente conoscere simultaneamente il 
percipiente e il percepito.
21. Se si desse per assunto che una seconda mente illumini la prima, si dovrebbe anche assumere una cognizione della cognizione, all'infinito, e una confusione dei ricordi.
22. La conoscenza della propria natura, tramite l'autocoscienza, si consegue allorché la consapevolezza assume quella stabilità per cui non passa più da uno stato all'altro.
23. Allorché la mente è colorata da colui che conosce e dalla cosa conosciuta, essa comprende tutto.
24. La mente, benché variegata da innumerevoli desideri, agisce per lo scopo di un altro, in quanto agisce per associazione.
25. Allorché si è vista questa distinzione, si ha un arresto dei 
desideri riflessi nell'atma, o Se'.
26. A questo punto, la mente propende per la discriminazione e 
gravita verso la liberazione.
27. A intermittenza, sorgono altri pratyaya, o concetti, grazie alla forza delle impressioni precedenti. Anche queste vanno rimosse così come si è fatto con le altre cause di sofferenza.
28. Chi è in grado di conservare uno stato di assenza di desiderio costante, perfino nei confronti degli stati di illuminazione più esaltanti, ed è in grado di esercitare la forma di discriminazione più elevata, entra nello stato noto come 'la nube di virtù.
29 A questo punto segue la liberazione da ogni sofferenza e da ogni karma.
30. Ciò che può essere conosciuto attraverso la mente è 
infinitesimale se paragonato con l'infinita conoscenza che si ottiene nell'illuminazione, allorché vengono rimossi tutti i veli, tutte le distorsioni e tutte le impurità.
31. Avendo adempiuto i loro scopi, il processo di mutamento nei tre guna giunge alla fine.
32. Kramaha, o il processo, è la successione dei cambiamenti che si verificano di momento in momento e che divengono percepibili allorché finiscono le trasformazioni dei tre guna.
33. Kaivalya è lo stato che segue il rifondersi dei tre guna, dovuto al loro divenire privi di scopo per il Purusa.
34. Kaivalya è quando il Purusa è stabile nella sua vera natura, che è pura consapevolezza.


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Patanjali, Beatrice Polidori



Yoga Sutra 1

[1 Interpretazioni  sintetiche delle 51 frasi della prima parte del testo di 2500 anni fa: Yoga Sutra di Patanjali, trad. Taimni edit. Ubaldini 1970  a cura di sri Italo Magos per yogaapaia.it (da assimilare un po’ alla volta, stampare e segnare con una matita i passi che suscitano delle osservazioni)]

1.1 Qui si conosce lo yoga: la ginnastica della mente
1.2 la mente agitata va calmata.
1.3 Così si cresce.
1.4 Perchè a volte si sta bene e a volte si sta male?
1.5 La mente può far stare bene o male.
1.6 Bisogna  capire se si è nella realtànella illusione, nella  fantasia, nel  sonno o  nella memoria del passato.
1.7 La conoscenza si ha tramite un senso, più sensi o tramite la testimonianza.
1.8  La conoscenza è falsa se non corrisponde alla realtà.
1.9 E’  fantasia se si sa che non è reale, è allucinazione se la si crede realtà.
1.10 Il sonno è la stasi del corpo, ma è il riordino della mente.
1.11 La memoria è l’archivio.
1.12 Il benessere si raggiunge  con la costanza e lo sguardo rivolto avanti,
1.13 con la stabilità,
1.14 con la passione e l’interesse alla meta del benessere.
1.15 Lasciare le sciocchezze,
1.16 le frivolezze:
1.17 si può capire che ci sono 4 stadi: aumentare la conoscenza, riflettere, sintetizzare, elaborare in modo creativo.
1.18 Così ci si sente nuovi,
1.19 qualcuno riesce spontaneamente,
1.20 qualcuno con l’intelligenza,
1.21 o ne comprende l’efficacia,
1.22 o con metodi.
1.23 Con la ricerca di  qualcosa di superiore (metafora della comprensione dell’esistente: della natura, di qualche divinità),
1.24 con altruismo (collaborare è meglio che confliggere),
1.25 comprendendo come e’ nata la vita (la vita e’ iniziata con la simbiosi),
1.26 come era nel passato e sempre sarà.
1.27 L’essenza  di ogni cosa è rappresentata dal suono A-U-M (detto OM, ma si pronuncia: aAUUummmmmmmmmmm….)
1.28 Tenerlo nella mente,
1.29 così si è centrati e scompaiono gli ostacoli
1.30 che sono 9: malattia, apatia, dubbio, negligenza, indolenza, frivolezza, illusione, confusione, instabilità  che vengono dalla natura e dall’esterno
1.31 angoscia, disperazione, nervosismo e respiro insoddisfacente sono i sintomi che vengono dalla mente. (Se è vero che lo Yoga è ateo , come dicono gli storici, si può ritenere che aver citato di seguito alla frase 23 gli ostacoli, questi vengono dal teismo e dal credere invece che dal capire almeno che non si pensi ad una divinità, ma alle forze della natura. Anche il salmo 104 della Bibbia, se si sostituiscono 12 volte le parole Dio o Signore con la parola SOLE il salmo è coerente ed è un inno alla Natura. Secondo gli archeologi è stato preso agli Egizi che lo cantavano secoli prima. Vedere in altro articolo.)
1.32 La soluzione è trovare un preciso obiettivo singolo.
1.33 si riesce con il sorrisoatteggiamenti positivi e l’abbandono della rabbia.
1.34 con una respirazione elaborata (pranayama)
1.35 con lo stimolo dei 5 sensi (percezione migliorata con asana)
1.36 guardando in alto (cercando mete nobili)
1.37 imitando chi si stima
1.38 favorendo il sonno
1.39 riflettendo…  meditando
1.40 delle piccole e delle grandi cose
1.41 che diventano chiare, acquisite
1.42 nel pensiero, nelle idee e nelle parole
1.43 diventano  parte della memoria senza interferenza della mente e del ragionamento (con distacco)
1.44 senza fatica
1.45 fino all’entusiasmo
1.46 ma è ancora l’inizio.
1.47 poi si ha chiarezza
1.48 la coscienza di essere nel giusto
1.49 la conoscenza si ha con metodi diretti ed indiretti
1.50 se ci si preoccupa si sbaglia
1.51 quando si è capito un metodo, non occorre pensarci (senza seme nel testo)
(perché funziona in modo automatico come camminare)



Yoga Sutra 2


Interpretazioni sintetiche delle 55 frasi della seconda parte del testo di 2500 anni fa: Yoga Sutra di Patanjali, trad Taimni Edit. Ubaldini 1970  a cura di sci Italo Magos per www.yogaapaia.it (assimilare un po’ alla volta, appuntare)]

2.1 per iniziare lo yoga è necessario studiare se stessi con fermezza
2.2 così si riducono i problemi e si cresce
2.3 senza lasciarsi prendere dall’ego e dalle banalità della vita comune
2.4 come: ignoranza, leggerezza, apatia, instabilità, eccessi
2.5 come: confondere ciò che non conta, con ciò che conta per crescere
2.6 bisogna usare la conoscenza per far crescere la coscienza
2.7 siamo deboli con i piaceri
2.8 siamo timorosi della sofferenza
2.9 le emozioni turbano anche il saggio
2.10 le emozioni possono risolversi se ne conosciamo l’origine
2.11 le emozioni possono essere ridotte spostando l’attenzione su altro
2.12 comprendere la propria esperienza e le altrui,  fa capire ogni essere
2.13 si cresce se a lungo, molte e gravi difficoltà vengono superate
2.14 danno gioia o dolore se migliorano se e il prossimo o no
2.15 bisogna capire che effetto produciamo in noi o in altri (feedback,  retroazione)
2.16 prevenire i mali e danni futuri
2.17 per stare bene bisogna capire cosa è bene
2.18 per stare bene bisogna conoscere le proprie capacità e come utilizzarle
2.19 ognuno ha capacità diverse in comune con altri o no
2.20 per crescere bisogna capire che abbiamo un filtro: la mente ha dei limiti
2.21 ognuno ha modi propri per risolvere le cose
2.22 per chi ha trovato le soluzioni sembra facile; per gli altri non è così
2.23 scopo della vita è trovare delle soluzioni: creare qualcosa di nuovo
2.24 alla vita non interessa sapere perché
2.25 non preoccuparsi del perché, è il modo per crescere
2.26 stare sempre in questa comprensione è il mezzo per crescere
2.27 si cresce in sette stadi (il 7 è metafora per intendere molti, infiniti)
2.28 la realizzazione nella realtà con gli esercizi yoga richiede onestà
2-29 il rispetto del prossimo, di se, la postura, la respirazione, l’analisi,
la sintesi,  la creatività sono gli otto stadi per realizzarsi (asthanga)
2.30 ci sono 5 modi per non fare del male al prossimo quindi  astenersi da:
………violenza, falsità, appropriazione, dispersione, accumulo
2.31 in ogni luogo e tempo, questi 5 comportamenti sono eccelsi e benefici
2.32 pulizia della coscienza e del corpo, contentarsi, serietà, studio, capire cos'é la  vita
2.33 se c’è un problema, concentrarsi sul contrario
2.34 se si fa del male agli altri si avrà miseria e dolore, invertire il modo
2.35 di fronte alla stabile non-violenza, la violenza è debole
2.36 la  falsità fa perdere completamente la  lucidità di qualsiasi situazione
2.37 rispettando ciò che è degli altri, si  diventa preziosi come una gemma
2.38 conservando ciò che è proprio (energie, beni) si ottiene il benessere
2.39 l’accumulo fa perdere il senso dell’esistenza
2.40 la purezza fisica incita alla prudenza nei contatti fisici (igiene)
2.41 la purezza comportamentale incita ad essere lieti e percettivi con se e gli altri
2.42  la suprema felicita deriva dal contentarsi
2.43 la comprensione dei propri sensi e del  proprio sistema nervoso porta alla crescita
2.44 la curiosità porta allo studio che espande la conoscenza sempre più
2.45 capire cos’è la natura e la vita da la gioia di essere giunti al alla comprensione totale
2.46 la postura sia comoda e stabile
2.47 abbandonare lo sforzo, senza fretta; ascoltare l’effetto sul corpo
2.48 posizioni opposte proteggono dalle dissimmetrie della postura
2.49 le posizioni devono essere eseguite tenendo conto della respirazione
2.50 la respirazione e’ costale, diaframmatica, di riserva; diversa con le attività
2.51 si chiama respirazione anche la circolazione di elementi più complessi (prana)
2.52 grazie a questi non si è distratti dalle immagini esterne, si sta dentro di se
2.53 e si raggiunge la capacità della mente di concentrarsi
2.54 e si riesce a non essere distratti dai sensi
2.55 segue allora il dominio assoluto dei sensi



Yoga Sutra 3


Interpretazioni sintetiche  delle 55 detti della terza parte del testo di 2500 anni fa: Yoga Sutra di Patanjali, trad. Taimni Edit. Ubaldini 1970  a cura di Italo Magos per yogaapaia.it 2010 (assimilare un po’ alla volta e fare appunti)]
3.1 la concentrazione riduce l’area della osservazione (analisi: con la lente)
3.2 la meditazione è l’esame ininterrotto del contenuto totale della mente
3.3 dopo la mente ed il tempo sono superati  (samadhi: trance, creatività) (nell’immagine il condotto blu si attiva)
3.4 i tre (3.1-2-3) presi insieme sono l’attività coordinata della mente-corpo
3-5 se sono padroneggiati si arriva alla massima crescita in ogni campo
3.6 la loro applicazione sarà diversa a seconda delle situazioni e persone
3.7 queste tre “pratiche” si raggiungono dopo le 5 pratiche precedenti (2.40-41-42-43-44-45)
3.8 ma sono ancora pratiche basse rispetto a quella libera da metodi (1.51)
3.9 all’inizio i tre (3.1-2-3) si ottengono solo per qualche istante (intuizione e successo fugace)
3.10 il loro flusso si regolarizza quando si pratica spesso
3.11 sempre più facilmente si riesce ad essere stabili nella creatività
3.12 nel quarto modo la creatività si ripresenta spontaneamente
3.13 qui si provano le proprietà dell’unione tra il corpo,  i sensi e la mente
3.14 qui’ si evidenzia l’attività della mente profonda (intrinseca, inconscia)
3.15 la differenza sta nel passare dalla corteccia al cervello profondo
3.16 questi piani superiori si vive il passato, presente e futuro (senza tempo)
3.17 così si entra in sintonia con tutti gli esseri viventi
3.18 e si acquisiscono le loro esperienze
3.19 si percepiscono le intenzioni del prossimo
3.20 ma non delle ragioni delle loro intenzioni, questo non è voluto
3.21 sospendendo questa “pratica”, gli altri non percepiscono questa pratica
3.22 se non ci si preoccupa (non ci si agita, non se ne sente il suono)
3.23 con tali “pratica” (percezione = samyama) comprendiamo il risultato delle nostre azioni, che può
essere evidente o no e valutare quindi il decorso della propria vita (prevedere la morte) e grandi eventi
3.24 la collaborazione, con tali “pratica”,  diviene l’essenza del vivere
3.25 la percezione delle qualità degli animali, con tali “pratica”, dona le loro qualità
3.26 anche il mondo del microscopico e del nascosto si comprende così
3.27 anche il mondo del macroscopico si comprende cosi
3.28 con tali “pratica” sulla luna e si conoscono anche le stelle
3.29 tali “pratica” sulla stella polare si conosce il moto delle stelle
3.30 fatta sui gangli nervosi dell’ombelico si conosce il corpo
3.31 fatta sulla gola si ha la cessazione della fame e della sete
3.32 fatta tra le sopraciglia dà la stabilità (terzo occhio, proiettata
però nella zona ancestrale centrale del cervello:)
3.33 fatta sulla parte superiore del cervello si ha la comprensione dei grandi maestri
3.34 cercare una soluzione senza ansia, con calma dà l’intuizione di ogni cosa
3.35 fatta sul cuore si capisce lo stato della mente e delle sue emozioni
3.36 fatta sulla vita materiale o elevata ne mostra la diversità ed i valori
3.37 in base a ciò si producono i 5 sensi  intuitivi
3.38 se si vuole migliorare non vanno bene, ma più avanti nel percorso sono
validi se ci si astiene dall’orgoglio
3.39 poi si esauriscono le difficoltà di percepire profondamente il prossimo
3.40 una speciale respirazione (prana di solito è tradotto con energia, oggi si sa che è Qbit: l’unità di interazione tra energia e materia = informazione o) elimina le difficoltà date dalla forza gravitazionale e di ogni cosa materiale
3.41 tale “pratica” alza il metabolismo (l’efficienza di tutte le funzioni fisiche tra cui il calore corporeo)
3.42 la “pratica“ sviluppa la percezione delle oscillazioni di ogni tipo di situazione (alterazioni ambientali)
3.43 la “pratica“ orientata su un leggero fiocco di cotone permette di essere dovunque col pensiero (bilocazione)
3.44 la “pratica“ permette di comprendere ciò che è fuori dalla mente. Così non è disturbata dai luoghi comuni
3.45 la “pratica“ controlla quello che è meno importante nell’esistenza e nell’universo
3.46 da qui il miglioramento del corpo e delle sue funzioni
3.47 ed il raggiungimento di una bellezza anche esteriore fuori dell’ordinario
3.48 la “pratica“ regola la supremazia degli organi di senso e la loro efficacia nel dare informazione
3.49 da ciò la velocità istantanea  di dare, al di fuori dei sensi, la comprensione del mondo psicofisico primordiale
3.50 solo distinguendo la comprensione da ciò che viene compreso si ha la comprensione totale
3.51 comprendendo che anche questo va superato, si cresce
3.52 se questo produce orgoglio e presunzione si cade in basso (si torna indietro nel percorso)
3.53 la “pratica“ fa comprendere  gli istanti e la loro successione nella consapevolezza della “realtà”
3.54 da ciò la distinzione tra due oggetti  simili che sembrano uguali
3.55 La completezza si ha quando la purezza e percezione del praticante è divenuta pari all’essenza del tutto. (Samadhi, trance, creatività senza essere influenzata dal tempo)




Yoga Sutra 4


Interpretazioni sintetiche   delle  34 frasi della quarta parte del testo di 2500 anni fa: Yoga Sutra   di Patanjali, trad. Taimni Edit. Ubaldini 1970  a cura di Italo Magos per yogaapaia.it 2010 (assimilare un po’ alla volta e fare appunti)]
4.1 Genetica, droghe, condizionamento verbale, la voglia di migliorare, “pratiche”: danno capacità rare
4.2 passare da un livello ad un altro viene dalla potenza naturale dell’evoluzione universale (il cambiamento)
4.3 cogliere le occasioni opportune per superare gli ostacoli come fa il contadino che bagna quando c’è acqua
4.4 l’egoismo crea menti non adatte alla vita di se stessi e del prossimo (la vita origina dalla simbiosi)
4.5 c’è un unico flusso [mente che dirige (la metafora è Dio)]  di tutto ciò che esiste
4.6 solo la mente che osserva è libera dal tutto
4,7 l’esistenza individuale dell’osservatore non è ne buona ne cattiva, per gli altri è di tre tipi
4.8 crescono solo quelli che sono adatti alle situazioni evidenti (sopravvive il più efficace e non il più forte)
4.9  in ogni luogo, tempo e condizione, la storia e ciò che succede, sembrano gli stessi (corsi e ricorsi)
4.10 e di esse non vi è inizio, essendo eterno l’esistenza di tutto ciò che esiste
4.11 tutto ciò che esiste è legato da causa-effetto e alla fine tutto è causa di tutto
4.12 il percorso del tempo è indipendente da ciò che succede. Ciò che succede dipende dal nostro percorso.
4.13 movimento, agitazione e resistenza agiscono su tutto anche se non ce ne accorgiamo
4.14 la caratteristica degli eventi è il cambiamento (la genetica  agisce se ci sono le condizioni ambientali)
4.15 la differenza tra l’evento e come lo percepiamo noi è dovuto al nostro percorso (modo di vedere)
4.16 ogni evento ha il suo significato indipendente dalla mente. Anche se la mente non c’e, l’evento esiste
4.17 un evento è percepito o ignoto se la mente viene stimolata o no
4.18 la mente agitata è compresa dal possessore della mente se ha una conoscenza della mente,
4.19 ma non è detto che ne sia in grado, se è agitata dalla sua agitazione (è lo specchio di se)
4.20 inoltre le può essere difficile essere contemporaneamente oggetto e soggetto (specchio e lampada)
4.21 se una mente guardasse se stessa potrebbe confondere le due informazioni (di se e del vedere se)
4.22 la visione di se non deve diventare confusa quando passa in una zona diversa della mente
4.23 la mente (plastica) è capace di suddividersi e modificarsi (pensiero multiplo, colorato)  allora conosce tutto
4.24 se una mente allenata ha più strati in azione, riesce a coordinarsi
4.25 chi raggiunge il coordinamento della propria mente non si preoccupi di come viene fatto
4.26 allora la mente ha la capacità di comprensione e sale di livello
4.27 ci sono dei momenti che cade la capacità di perseguire i risultati
4.28 la loro eliminazione è utile come per l’ignoranza, egoismo, desiderio, avversione, insistenza, ossessività
4.29 non essendo orgogliosi e presuntuosi della propria grande evoluzione si raggiungono i massimi livelli
4.30 pertanto si è liberi da afflizioni e dalle azioni proprie, altrui e dalle loro conseguenze
4.31 quando viene rimossa ogni confusione ci si accorge che con la mente si conosce ancora troppo poco
4.32 quando tutte le difficoltà si sono mostrate si giunge al termine
4.33 quando la realizzazione diviene evidente si è vicini alla conclusione del processo
4.34 quando la realizzazione arriva ad eliminare la maggior parte delle difficoltà cresce celermente. FINE
Qui Patanjali finisce il suo percorso, ma come dice al punto 4.10 ogni percorso continua come la vita al di là della vita. E’ sospesa, per esempio, la questione della reincarnazione pur sfiorata nel 3.23, che in una mente capace di praticare del feedback,  (retroazione) (2.15) comprende come un altro mondo che è intorno a noi ora……….. e non dopo la vita.