martedì 15 febbraio 2022

Pregare per te | Grazie, Yoga Journal !

La pratica spirituale più istintiva per entrare in contatto con il tuo spazio sacro interiore


di Sally Kempton

illustrazione di Sarah Wilkins


Comincio con una rivelazione: prego per trovare un parcheggio. Forse è il bambino in me che crede nelle magie, ma quando ho bisogno di qualcosa, quando comincio un qualsiasi progetto, prego. Alcune di queste, credo possano essere considerate spiritualmente corrette. Sono dedicate a persone che hanno bisogno, o affinché le mie azioni posano portare beneficio. Però ammetto che prego anche per un problema che non riesco a risolvere, perché un workshop sia affollato e così via. La metà delle volte funziona. La preghiera è la pratica più diretta per comunicare direttamente con il divino, per creare una connessione quasi immediata con il presente, la sincronicità, la grazia, per nutrire l’ispirazione. Anche per questo motivo l’insegnamento dei grandi praticanti della preghiera, come il poeta Sufi Jalaluddin Rumi o la Mistica Cattolica Teresa d’Ávila, affermano che non è importante lo stato in cui ti trovi, o i motivi che ti spingono alla preghiera. “Se non riesci a pregare con sincerità offri la tua preghiera asciutta e ipocrita” scrive Rumi, “nella sua immensa Grazia, lui accetta anche le monete false”.



Il tuo Dio ti accetta



Quando si tratta di preghiera, sii come sei, non devi necessariamente essere pio, sentirti buono, e neanche farti illusioni che la preghiera risolva tutto. Fallo e basta, rimani in attesa e forse troverai la connessione giusta. La preghiera, soprattutto quella che chiede a Dio dei favori, ha una reputazione poco chiara tra chi pratica yoga. Forse perché tendiamo ad associare la preghiera ad una religione organizzata. Una volta uno studente mi ha detto, “amo lo yoga perché non è una religione”, e molti ritengono che la preghiera sia inutile, una sorta di placebo. E anche se sei disposto ad accettare l’efficacia della preghiera, rimane il tema dell’autorità divina a cui la indirizzi, una gerarchia spirituale dettata dall’alto, confusa, ove è difficile riconoscersi. Credo non sia un caso che filosofie come lo Zen o la meditazione Vipassana, con il loro approccio minimalista e non teistico alla meditazione, siano una scelta abbracciata da così tante persone in Occidente nel terzo millennio.



L’aspetto sacro della vita



Perché uno yogi dovrebbe pregare? Ci sono 3 ragioni: la preghiera allenta la corazza attorno al cuore e ti apre alla ricezione dei segnali dell’universo; la preghiera trasforma l’energia della disperazione in fiducia, da un stato difensivo alla confidenza, da uno stato d’ansia a quello di calma.



In secondo luogo la preghiera ti porta in contatto con l’aspetto sacro della vita. Uno spazio intimo ove non devi essere altro che te stesso nella maniera più umile. Puoi confidare la tua confusione, urlare, chiedere aiuto, ringraziare, protestare. Puoi essere bisognoso e aprirti senza timori al divino. “Cosa è l’abbondanza senza un mendicante?” scrive Rumi, “Cosa è la generosità senza un ospite? Sii un accattone, perché la bellezza cerca uno specchio e l’acqua sta invocando un uomo assetato”.



Il terzo motivo è perché pregare è una pratica profonda e ispirata. Da compiere a qualsiasi livello spirituale, da utilizzare per conoscere i tuoi bisogni ed entrare in contatto con te stesso.



Parole di elogio



La preghiera è uno dei grandi metodi per esercitare una forma di yoga devozionale “bhakti” che comprende la ripetizione di mantra, evocare la tua intenzione all’inizio di una classe di yoga, e cantare insieme, non così distante da un rito pentecostale in cui si invoca la “Lode al Signore”. Prova a cantare un Om come fosse una preghiera e senti come risuona profondamente dentro il cuore. Nella pratica della preghiera cristiana è contemplata una forma di preghiera silente per orientare il cuore al divino ed è essenzialmente una forma di meditazione. La preghiera richiede tre momenti: la petizione, la confessione e la lode. Questi momenti possono essere condivisi o separati. All’inizio della pratica di una preghiera, ripeti automaticamente un’invocazione, con un forte senso di dualità e separazione; ti percepisci come un piccolo “sé” che si rivolge a un Grande Dio dell’universo. Nel corso della preghiera lo stato della domanda si trasforma, diventa più profonda e conduce a un momento di comunione con il divino (che nella tradizione yoga si chiama darshan). Nel suo livello più elevato la preghiera è indirizzata al tuo Sé divino più intimo, non più separato dal resto dell’universo.



Negoziare il destino



La maggior parte di noi affronta il tema della preghiera quando ha bisogno di favori. Certamente gli antichi saggi, essendo dei rinunciatari alle cose mondane non avrebbero mai ammesso di chiedere delle petizioni in cambio di gratitudine; ciononostante i bisogni dell’uomo, già nella cultura Vedica, sono inni e lodi alla richiesta di cibo, protezione e prosperità. La meditazione metta, sull’amore universale (“Che tutti gli esseri umani posano essere felici”), ricade nella categoria delle suppliche. Tutto dipende dalla sincerità che porti alla tua preghiera e dalla capacità di spostare l’ottica della richiesta dal mondo esterno alla gratitudine, forza e amore che albergano in te. A un livello molto basso una preghiera di richiesta molto esplicita è una combinazione di lusinga, ostinazione e ricatto; spesso è rivolta ad una figura Divina, quasi genitoriale, cui si chiede la risoluzione di un desiderio con una promessa in cambio di un piccolo sacrificio o fioretto: “riconosco la tua grandezza, solo se ti prendi cura di me”. Bisogna riconoscere che nella storia molte preghiere di questo tipo sono state offerte e c’è anche una saggezza in esse. Quando chiedi un favore, sei disposto a fare spazio e liberarti di qualcosa al suo posto. Una legge che è stata ignorata da un supplicante in una delle mie storie Sufi preferite. Un uomo, che aveva perso uno dei suoi anelli più preziosi, stava pregando per ritrovarlo e offriva la metà del suo valore in beneficenza. Alla fine della preghiera aprì gli occhi e vide l’anello davanti a sé, “non ti scomodare Dio”, disse, “l’ho trovato da solo”. Quando chiedi dei favori al cosmo, puoi attenderti che esso risponda “No”. Un mio studente diventò ostile alla preghiera e alla ricerca del Divino, avendo pregato moltissimo per la malattia di suo fratello, che comunque seguì il suo triste destino.



Una relazione divina



Teresa d’Avila, dopo una serie di incidenti, malattie e disavventure, scrisse: “Signore, se è in questo modo che tratti i tuoi amici, è incredibile che te ne siano rimasti accanto così tanti!”. Non te la prendi con Dio se non senti che Dio è reale, e se non hai una sincera relazione emotiva con lui. Un aneddoto simpatico racconta di un devoto di Krishna che, dopo averlo adorato e pregato ogni giorno e non vedendo materializzati i suoi desideri, un giorno spostò la sua statua e la rimpiazzò con Rama. Il giorno seguente, mentre offriva l’incenso a Rama, notò che dalle narici della statua di Krishna usciva del fumo. Il devoto chiuse le narici della statua e disse: “Non devi odorare il mio incenso!”. In quel momento la statua diventò viva e chiese: “Mio caro, cosa posso fare per te?”. L’uomo rispose: “Ma ti ho supplicato per anni, perché ti manifesti solo adesso?”. E Krishna, sorridendo: “Quando hai chiuso le narici della statua, è stata la prima volta in questi anni che mi hai trattato come una persona vera, e quindi ho risposto alle tue preghiere”. Questo livello intimo di preghiera, non tanto verso una specifica divinità, quanto verso il sentimento sacro che diventa reale in noi, ci porta a trasformare la supplica in una conversazione, in uno spazio spirituale molto più vasto. La preghiera diventa gratitudine. Questa include tutti i momenti in cui dici “Grazie” per la bellezza e la fortuna che hai nella vita.



Rimorsi



Ci sono poi preghiere, meno gioiose, ma egualmente connesse con il tuo spazio sacro, legate al rimorso e alla confessione. Ogni tradizione religiosa ha una sua formula per verbalizzare al divino: “Mi dispiace, ho sbagliato, aiutami a capire e fare ammenda”. La cultura dello yoga tende a sorvolare la forza emotiva del rimorso, perché legato al tema della colpa e pentimento, all’auto punizione. Nel mondo occidentale, anche il tema della confessione, soprattutto per i soggetti con bassa autostima, porta a galla emozioni di vergogna e colpa, ben lontani dal sentimento di preghiera. Ciononostante pregare per un rimorso rimane una delle tecnologie più potenti per dissolvere le ombre che oscurano i tuoi doni spirituali. Ammettere un errore è un fuoco purificatore che brucia le ostruzioni. Nel momento in cui cominci a sentirti piccolo, inutile, scomodo a te stesso, qualcosa in te riemergerà rinnovato e unito di nuovo a te stesso. La confessione non deve essere legata a ciò che hai fatto di sbagliato. Puoi confessare il tuo stato emotivo, “Sono qui e sono triste per la rabbia che ho generato”, e pregare per sedare i sentimenti di crudeltà o insensibilità che hai provato “faccio del mio meglio, e ringrazio questa esperienza per aprirmi alla gentilezza”. Anche questa è una potente forma di purificazione, che ti libera dai pensieri negativi e ti avvicina al sacro. Pregare è, nel suo significato più profondo, una pratica di relazione. Più che ottenere ciò che “desideri”, più che migliorare il tuo stato emozionale, la preghiera ti rende consapevole che c’è uno spazio lì fuori, collegato a te, che si prende cura di te e ti protegge.

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