IL SAGGIO ILLUMINATO PATAÑJALI (NON A CASO DEFINITO BHAGAVÂN, IL DIVINO) IN UN'EPOCA
STORICAMENTE IMPRECISATA, TRA IL III SECOLO A.C. E IL IV D.C. CODIFICÒ LO YOGA
IN UN'OPERA UNICA NEL SUO GENERE - GLI YOGASUTRA;
QUESTA STRAORDINARIA RACCOLTA DI AFORISMI - 196 SÛTRAPER L'ESATTEZZA - SONO GIUNTI
FINO A NOI GRAZIE A UNA ININTERROTTA TRASMISSIONE ORALE, DEFINITA COL TERMINE PARAMPARÂ - DA BOCCA A ORECCHIO,
DA MAESTRO A DISCEPOLO.
Il saggio
illuminato Patañjali (non a caso
definito Bhagavân, il divino) in un'epoca
storicamente imprecisata, tra il III secolo a.C. e il IV d.C. codificò lo Yoga
in un'opera unica nel suo genere - gli Yogasutra; questa
straordinaria raccolta di aforismi - 196 sûtra per l'esattezza - sono giunti fino a
noi grazie a una ininterrotta trasmissione orale, definita col termine paramparâ - da bocca a orecchio, da Maestro a
discepolo.In virtù di questo sistema complesso e organizzato si delinea il
percorso che il vero praticante dovrà seguire per ottenere l'illuminazione e la
liberazione dalla catena delle reincarnazioni.
Lo studio e l'approfondimento via via sempre
più coinvolgente di yama e niyama,
costringeranno l'adepto a una meravigliosa presa di coscienza di sé, del
proprio ruolo in questo grande spettacolo della Creazione... e le sorprese
potrebbero non finire qui. Ci si potrebbe trovare coinvolti in un oceano di
Verità, di Conoscenza e di Amore.
Vediamo ora che cosa sono e come possono
essere interpretati questi «comandamenti», assai rigorosi ed espressi in
maniera da non lasciar spazio ad alcuna deroga, a nessuno «sconto».
Yama
Ahimsâ - la non violenza, un atteggiamento globale,
onnicomprensivo rispetto a ciò che può «ferire l'altro» - l'uomo, l'animale,
l'ambiente, tutte le cose che possono perdere la loro identità e la loro
funzione. Dunque ahimsâ va ben oltre il concetto di «non
uccidere»; bisogna comprendere che la freddezza nella comunicazione uccide
tanto quanto un pugnale, che la crudeltà mentale è una grandissima forma di
violenza così come l'indifferenza, una certa forma infida di ironia, il non
saper ascoltare, non voler vedere... Pertanto l'ahimsâ rappresenta
il grado più alto di inoffensività. Difficile da mettere in pratica... ma vero!
Satya - la verità, sempre, in ogni momento. Lo stolto mente con facilità, esagera nei suoi racconti, lascia intendere cose diverse dalla realtà dei fatti e in definitiva mente a sé stesso perché si pone in una condizione diversa rispetto alle esigenze della sua stessa anima. Poi, secondo Taimni, la menzogna offusca la buddhi (la pura coscienza), ovvero ottenebra quella limpida intuizione necessaria all'evoluzione. E ancora: una menzogna tira l'altra e il fardello diventa pesante e ingestibile quando si vuol procedere spediti verso l'illuminazione.
Asteya - non solo non rubare! Ma nemmeno ricercare privilegi che non ci spettano, attenzioni particolari in virtù di una posizione sociale o economica che permetterebbe, in determinate situazioni, un salvacondotto, un lasciapassare, una bustarella. Niente di niente. Bastare a sé stessi e cercare di comprendere sempre di più e sempre meglio «il nostro ruolo in questa vita», con tutto quello che ne deriva.
Brahmacharya - la continenza. E fin qui sono d'accordo: una vita sessuale smodata che genera attaccamenti di ogni tipo è contro ogni forma di igiene mentale. Non concordo però con l'astinenza assoluta indicata da molti commentatori come condizione imprescindibile al progresso spirituale, già tenendo in considerazione l'etimologia della parola brahmacharya che letteralmente significa «essere Maestri di sé stessi in Brahman». Semplicemente, il giusto distacco e l'atteggiamento appropriato in un piacevole aspetto della vita.
E' evidente invece che ad un livello avanzato
di ricerca personale, spontaneamente diminuiscano gli appetiti sessuali, tanto
grande e desiderabile appare il contatto con l'Assoluto che via via si è
rivelato e che sappiamo essere «l'Unica Mèta».
Aparigraha - il non possesso. Pensare di possedere qualcosa, o qualcuno, è pura illusione. In questo periodo di tempo che va dalla nostra data di nascita (certa) alla nostra data di morte (?) e che sappiamo essere null'altro che una possibilità che ci viene offerta dalla Vita - la Madre Divina, la Shakti - come occasione di trasformazione e sviluppo spirituale, che posto ha il concetto di possesso?
Siamo nel bel mezzo di un grande spettacolo in
cui ognuno di noi ha un ruolo, quello che ci siamo meritati grazie a tutto
quello che abbiamo fatto o non fatto nelle nostre vite precedenti. Siamo gli
attori, troppo spesso inconsapevoli del nostro ruolo, e infatti ci ritroviamo a
interpretare Paperon dei Paperoni o la Divina collezionista di cuori infranti o
il plurititolato capo di governo.
Infine si diventa schiavi e vittime di un
pensiero/attaccamento costruito sul nulla.
Arriva Mara - il dio della Morte - e tutto scompare...
Niyama
Sauca - la purezza, la pulizia del pensiero, delle intenzioni e
anche dell'abito che si indossa, della nostra pelle e in generale del corpo,
come si evince dalle scrupolose attenzioni che lo Yoga dedica all'organismo
tutto.
Mentre riferendoci a yama pensiamo a cinque precetti che vietano
comportamenti dannosi per l'evoluzione personale e per l'armoniosa convivenza
con il genere umano, se parliamo di niyama osserviamo che si tratta di
indicazioni disciplinari, costruttive, in vista di una vera vita yogica: da una
sana, parca dieta alla molteplicità dei neti, dei dhauti e dei prânâyâma purificanti e ossigenanti.
Contemporaneamente, depurati dalla spazzatura
altamente inquinante dei pensieri abituali che affollano la mente e su cui di
solito non si ha alcun potere di controllo, avvicinandoci alla meditazione
osserviamo l'alba del nostro riscatto, la luce radiosa dell'Eterno che si fa
strada.
La meditazione dunque come panacea e come
espressione di una Realtà vera, senza ambiguità.
Samtosa - l'appagamento, proprio il contrario della frustrazione (sentimento assai diffuso che fa apparire l'erba del vicino sempre più verde).
Samtosa rende assai bene l'idea di quiete, di pacificazione
allorché si accetti l'idea che non esiste un Dio capriccioso che fa e disfa le
cose secondo l'umore del momento ma si capisca che la fortuna e la sfortuna non
esistono e tutto deriva da un Principio Originario che è la matrice stessa
della Vita, delle Coscienza e dell'Amore - sat-cit-ânanda. E noi siamo QUELLO.
Tapas - la fede, il fuoco ardente dell'Amore per il Divino che consuma e rigenera.
Questa fiamma va mantenuta costantemente viva,
a qualunque costo, ed è la base per una sana spiritualità fatta di gioiosa
consapevolezza e di allegra condivisione con il prossimo piuttosto che di
funeste pratiche autopunitive, di sacrifici non richiesti, di volti lividi e
senza sorriso. «Un santo triste è un triste santo» recita un proverbio.
Buddha stesso, dopo anni di penose pratiche
ascetiche, comprese che il volto di Dio si rivela soprattutto nella gioia; e la
notte successiva a questa scoperta, seduto sotto l'albero della bodhi,
Egli ottenne il nirvâna.
Svâdhyâya - lo studio di sé e del Sé. Uno studio non in chiave psicologica ma logico e deduttivo.
Qui possono essere di aiuto le biografie dei
santi e degli illuminati, di coloro che hanno ottenuto la liberazione in vita:
gli eletti!
E ancora, comprendere il coraggio di queste
grandi anime che non hanno voluto smarrirsi nella giungla dei senza dio e, pagando
sempre prezzi altissimi, avendo annientato il proprio ego, si sono purificati
al calor rosso dell'abnegazione, hanno superato sé stessi e hanno spezzato la
ruota delle reincarnazioni. Finalmente la libertà: il kaivalya.
Îsvara pranidhâna - la resa: l'abbandono a Dio quale Ente Supremo, solo conoscitore della «Legge di causa ed effetto» e dunque il reggitore stesso della vita nella molteplicità delle sue espressioni.
L'abbandono alla volontà suprema è la più alta
forma di ascesi ed è ciò che contraddistingue il vero illuminato. Affrontare il
proprio percorso spirituale secondo questo principio garantisce, senza ombra di
dubbio, la conoscenza e la liberazione in vita.
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