venerdì 3 novembre 2023

Una breve analisi dei sensi ( Indriyas ), visti dal punto di vista dello Yoga

Pratyāhāra è quindi uno stato mentale nel quale la mente è "disconnessa" dai cinque sensi. Praticare il prānāyāma, o qualsiasi altro metodo di controllo del respiro e della forza vitale, senza avere ben chiaro in mente lo scopo per cui si stanno facendo tali pratiche, ben difficilmente porterà al raggiungimento dello stato mentale di pratyāhāra. Patanjali afferma che lo scopo del prānāyāma deve essere pratyāhāra, il fare ritornare la mente all' interno. Tutti i ricercatori spirituali che perseguono lo scopo dell' Auto-Realizzazione devono essere in grado di praticare il prānāyāma in modo tale da riuscire ad ottenere, in poco tempo se non immediatamente, l'interiorizzazione della mente. Molti si accontentano di osservare solo le leggi di yama e niyama, ad altri è sufficiente la pratica delle sole āsanas mentre altri ancora praticano unicamente il prānāyāma. I migliori risultati e lo stato mentale del pratyāhāra si ottengono con la pratica combinata dei quattro passi appena menzionati.
A qualunque attento osservatore o studioso di Yoga non sfuggirà di notare che gli otto gradini dello Yoga, già menzionati più volte, siano raggruppabili sostanzialmente in due categorie: i primi quattro, che sono pratiche da mettere in atto, e gli ultimi quattro che sono invece stati mentali interiori e/o raggiungimenti. Si possono trovare una infinità di libri e manuali, spesso di ottima fattura, che trattano teorie e pratiche dei primi quattro livelli dello Yoga, ma non ci sono volumi stampati al riguardo della pratica del pratyāhāra, del dhārana, del dhyāna o del samādhi; al massimo si trova qualche libricino che cerca di esprimere con parole scritte ciò che in definitiva non è scrivibile e cioè un progressivo e sempre più alto stato dell'Anima. Questo, per sua natura, può solo essere sperimentato.

Ad ogni singolo praticante, che conosca bene i principi di yama e niyama, risulterà ben chiaro se stia osservando oppure infrangendo tali principi nel compiere una qualsivoglia azione o nell'astenersi da essa. Similmente, lo stesso praticante, saprà con certezza di fare āsana o prānāyāma qualora si trovi diligentemente ad eseguire posizioni Yoga oppure cicli di respirazione controllata. Sarà anche in grado di dare un certo grado di giudizio circa la qualità della sua pratica. Ma molte più incertezze lo coglieranno riguardo al potersi dire di trovarsi o meno nello stato mentale di pratyāhāra, anche perché il solo fatto di porsi quella domanda lo farebbe immediatamente decadere da tale stato. Risulta quindi evidente che si trova su di una riga di confine, non marcato con una linea netta, ma con i punti di contatto piuttosto labili ed incerti, quasi immateriali. Ed infatti, a mio modo di vedere, tanto il pratyāhāra quanto l' atomo segnano la zona di confine tra spirito e materia, essendo in pratica appartenenti sia all'una che all'altra sponda e senza essere, in sostanza, né l'una né l'altra.
Messa in questo modo la faccenda sembra diventare tremendamente difficile, intrappolati in un gioco della mente tra spirito e materia da cui diventa difficile uscire. Ma qualsiasi lungo viaggio incomincia sempre con un piccolo passo e un piccolo passo è generalmente una cosa semplice. Qualche volta ci sarà capitato di essere talmente assorti in quello che stiamo facendo da non accorgerci di ciò che ci sta succedendo intorno; se non fosse perché la direzione della forza vitale è comunque volta all'esterno tramite gli organi dell'azione, quella sarebbe già una forma di interiorizzazione simile al pratyāhāra. Nel caso invece ci si accingesse a praticare il kriya ed un fastidioso rumorino fuori dalla finestra diventasse tiranno della nostra attenzione, innervosendoci, nel momento in cui riuscissimo, presi dalla pratica del nostro prānāyāma, ad essere consci ed attenti solo alle correnti spinali ed alla visione dell' occhio spirituale, allora ci troveremmo, senza porci tante domande, nello stato di pratyāhāra. Il rumorino c'è ancora, i nostri timpani vibrano in reazione ad esso ma la nostra consapevolezza non ne è riguardata.
I sensi
L'uomo è perduto se la sua ragione soccombe alla forza dei sensi. D'altra parte, effettuando un controllo ritmico sul respiro, i sensi, invece di correre dietro agli oggetti esterni del desiderio, si introvertono, e l'uomo si libera dalla loro tirannia. È questo il quinto stadio dello Yoga, il pratyāhāra, in cui i sensi sono tenuti sotto controllo. Quando raggiunge questo stadio, lo yogi compie un minuzioso esame di coscienza. Per superare il mortale ma attraente fascino di tutto ciò che attira i sensi, ha bisogno di isolarsi in adorazione (bhakti) richiamando alla mente il Creatore che ha forgiato gli oggetti del suo desiderio. Ha bisogno inoltre di essere illuminato sul suo retaggio divino. In realtà la mente è, per l'umanità, sia causa di schiavitù che di liberazione; porta schiavitù se è legata agli oggetti del desiderio e liberazione se ne è lontana. Sia il bene che il piacere si presentano agli uomini e li incitano all'azione; lo yogi preferisce il bene al piacere mentre l'uomo mondano, guidato dai propri desideri, preferisce il piacere al bene dimenticando così il vero scopo della vita.
Lo yogi prova soddisfazione in ciò che egli è; sa come fermarsi e, quindi, vive in pace. Preferisce in partenza ciò che è amaro come il veleno, ma persevera nella pratica sapendo perfettamente che alla fine diventerà dolce come nettare. L'uomo mondano, desiderando soddisfare i propri desideri, preferisce ciò che a prima vista sembra dolce come il nettare, non sapendo che alla fine sarà amaro come il veleno. Lo yogi sa che il cammino verso l'appagamento dei sensi tramite la realizzazione dei desideri è facile, ma conduce alla distruzione, e che ci sono molti che la seguono. Il cammino dello Yoga è come la lama tagliente di un rasoio, stretto e difficile da percorrere e che pochi riescono a trovare. Lo yogi sa che le vie della rovina e della salvezza convivono in lui. Chi ha i propri intenti rivolti al divino è senza paura, puro, generoso e padrone di sé, approfondisce lo studio dell'Io e rinuncerà ai frutti del proprio lavoro, adoperandosi soltanto per il lavoro in sé. Non è violento, ma verace e libero dall'ira; ha una mente tranquilla, senza malizia ed è caritatevole verso tutti, poiché è libero dalla brama. È gentile, modesto ed equilibrato; illuminato, clemente e risoluto, libero dalla perfidia e dall'orgoglio. Una volta intuita la grandezza della Creazione o del Creatore, la brama dell'aspirante verso gli oggetti dei sensi svanisce e guarda ad essi da allora in poi con indifferenza. Non prova più alcuna ansietà per il caldo o il freddo, per il dolore o il piacere, per l'onore o il disonore e per la virtù o il vizio. È affrancato così dalla nascita e dalla morte, dal dolore e dalla sventura, e, liberatosi da queste catene, guadagna l'immortalità. Non ha identità propria poiché vive sperimentando la pienezza dello Spirito Universale: un tale uomo, che nulla disprezza, guida ogni cosa sulla via della perfezione.

Colui che ha visto le cose come stanno in realtà, con la retta comprensione,
abbandona la sete di esistere: egli si rallegra che la sete sia stata estinta.
L'estinzione, però, e' la cessazione di tutti gli appetiti
ed e' la cessazione senza residui di ogni passione.

Gautama Buddha - Udana, III

Può risultare utile, a questo punto, una breve analisi dei sensi ( Indriyas ) in quanto tali, visti dal punto di vista dello Yoga: l'essere umano viene considerato, in questo caso, come un edificio con dieci porte, cinque di entrata e cinque di uscita. Testimoniare consciamente, attivamente ed intenzionalmente l' attività di queste dieci porte, quindi dei dieci sensi, ed il loro modo di funzionamento è una forma importante di meditazione attiva che porta conoscenza e consapevolezza ai fini del raggiungimento e della realizzazione dello stato interiore di pratyāhāra. Strettamente parlando quindi avremo:

  • Jnanendriya, i cinque organi dei sensi - gli attributi positivi delle cinque forze elettriche
    ( Jnana - Conoscere / Indriyas - Sensi ) più o meno ciò che serva all'Anima, o abitante interiore, per conoscere

    • odorato
    • gusto
    • vista
    • tatto
    • udito
che essendo attratti dall'influenza di Manas, la Mente, polo opposto dell'Atomo spiritualizzato, formano il corpo mentale*

  • Karmendriya, i cinque organi dell'azione - gli attributi neutralizzanti delle cinque forze elettriche
    ( Karma - Agire / Indriyas - Sensi ) più o meno ciò che serva all'Anima, o abitante interiore, per agire

    • escrezione
    • riproduzione
    • moto (piedi)
    • abilità manuale (mani)
    • parola
Questi organi, in quanto manifestazione dell'energia neutralizzante dell'Atomo spiritualizzato (Chitta, il Cuore), costituiscono un corpo energetico chiamato corpo dell'energia, o forza vitale, o prānā

A rigor di logica, in aggiunta a questi "dieci sensi" dovremmo aggiungere, sempre secondo lo Yoga, anche le cinque categorie degli oggetti dei relativi sensi, ma ciò è fatto solo in via conoscitiva, in quanto questi ultimi non saranno inclusi nella breve analisi che si andrà a fare.
  • Visaya o Tanmatra, i cinque oggetti dei sensi - gli attributi negativi delle cinque forze elettriche
    • oggetti dei sensi dell'odorato
    • oggetti dei sensi del gusto
    • oggetti dei sensi della vista
    • oggetti dei sensi del tatto
    • oggetti dei sensi dell'udito


Questi ultimi chiudono virtualmente il ciclo poiché unendosi agli organi dei sensi grazie al potere neutralizzante degli organi dell'azione, soddisfano i desideri del cuore. In una forma molto schematica, come riportato sopra, il tutto può apparire freddo e complicato ma se pensiamo all' esempio di un uomo ( il nostro essere umano quindi il relativo abitante interiore ) che vede ( senso della vista ) una bella donna ( oggetto del senso della vista ), questi agirà per mezzo di mani, piedi, parola e possibilmente anche degli organi riproduttivi ( organi dell'azione ) per cercare di soddisfare i desideri del cuore. L'esempio appena riportato può risultare molto grezzo ed improprio ma credo che renderà benissimo l'idea. Non è tuttavia un mezzo idoneo al raggiungimento del pratyāhāra in quanto implica che ci siano alcune porte aperte e l'energia vitale, o prānā, non è di conseguenza interiorizzata ma è diretta verso l'esterno.
Dominate dalla sete di sensazioni le persone balzano qua e là,
come lepri incappate nella rete.
Soggetti a vincoli e legami,
continuamente e a lungo, vanno verso il dolore
Gautama Buddha - Dhammapada, 342
Osservazione dei sensi durante l'attività
Il processo di interiorizzazione inizia, come si sarà già capito, con il pratyāhāra, cioè con l'inversione della corrente della forza vitale, o prānā, lungo le direttrici dei sensi. L'osservazione di questi attributi è quindi il primo passo verso la conoscenza di Sé, o Auto-Realizzazione: questi dieci attributi hanno in comune il fatto di essere visti semplicemente come porte; sono soltanto porte, o di entrata o di uscita. Il fatto di osservarli durante la vita quotidiana, azione che potremmo definire come "meditazione attiva" porta a diventare sempre più consapevoli di sé, dell' abitante interiore. Si riesce progressivamente a percepire come questo abitante interiore, che siamo noi stessi, si relaziona con il mondo esterno per mezzo dei dieci strumenti dei sensi. Procedendo gradualmente si potrebbe arrivare, esercitandosi opportunamente tramite l'auto-osservazione, alla separazione discriminativa dei dieci sensi per giungere infine alla piena consapevolezza di essi. Da qui, data per scontata una conoscenza di massima dei Chakra e della loro collocazione lungo il canale spinale, si può passare a stabilire le corrispondenze di ciascun senso ( o coppia di essi a causa della dualità ) con il relativo chakra, o centro di energia. Tutto questo per arrivare a discriminare la posizione di meditazione, il processo del meditare e le azioni che si fanno o non si fanno durante la meditazione stessa, quindi per rendere possibile il raggiungimento di uno stato interiore, nel nostro caso di adesso, il pratyāhāra.
Chakra Jnanendriya Karmendriya
1 - Muladhara - coggigeo odorato escrezione
2 - Svadhisthana - sacrale gusto riproduzione
3 - Manipura - lombare vista moto (piedi)
4 - Anahata - dorsale tatto abilità manuale (mani)
5 - Vishudda - cervicale udito parola
La mente, che opera attraverso il Kutastha, il sesto chakra, il quale è sperimentato nel centro tra le sopracciglia, è il centro di coordinamento dei cinque chakra sottostanti, che in definitiva dipendono da esso. Nel Kutastha quindi, la mente è, sia il contenitore delle informazioni di conoscenza importate dalle cinque porte di entrata degli organi dei sensi ( Jnanendriya ) e delle loro controparti fisiche, sia il coordinatore delle istruzioni date ai cinque organi di azione ( Karmendriya ) ed alle loro controparti fisiche.
Chakra Jnanendriya Karmendriya
6 - Ajna - mente ricettore coordinatore
7 - Sahashrara - coscienza riserva di energia
Infine la coscienza, che opera attraverso sahashrara, il settimo chakra, provvede a fornire l'energia necessaria alla mente per operare e, secondo le necessità, agli altri cinque chakra per mezzo della batteria di energia rappresentata dal midollo allungato o Bocca di Dio.
Come una goccia d'acqua su una foglia di loto,
come un seme di senape sulla punta d'un ago,
non s'aggrappa al piacere dei sensi
Gautama Buddha - Dhammapada, 401
Con la conoscenza, la comprensione e la messa in atto di queste nozioni sotto forma di processi si può arrivare a padroneggiare il fatto dello stabilire a volontà un determinato stato interiore. Si è al timone della nave. Può a questo punto essere d' aiuto l'analogia di considerare i sensi come un guanto e la coscienza come la mano; ritirare i sensi all' interno diventa quindi come togliere la mano dal guanto. Quando i sensi sono ritratti ci trova di fronte alla mente in persona, nel punto cioè da cui parte la reale pratica della concentrazione, che ci dovrebbe poi portare alla meditazione ed alla supercoscienza.
Analisi dell'atto meditativo
Quando ci si appresta a praticare, come insegna Patanjali, si sceglie una posizione ferma. Questo fa sì che buona parte degli organi di azione siano posti in uno stato di inattività, quindi ritratti o ritraibili. A meno che un Mantra non venga cantato ad alta voce, fatto più frequente ad inizio meditazione per produrre una certo grado di interiorizzazione, si tace, per porre in stato di inattività il senso d'azione della parola. Gli occhi vengono chiusi e talvolta, quando si cercano di udire i suoni interiori, si chiudono anche le orecchie. Alcune scuole usano particolari bendaggi per chiudere le orecchie e gli occhi contemporaneamente. Non si mangia e le sensazioni tattili ed olfattive vengono rese inattive. Tutto si ritrae all' interno e se tutte le porte sono chiuse a dovere, come anticipato prima, ci si trova di fronte alla mente.

' L'uomo deve usare la propria mente per liberarsi, non per degradarsi.
La mente è amica dell'anima condizionata, ma può anche essere la sua nemica.
Per colui che ne ha il controllo, la mente è la migliore amica,
ma per colui che ha fallito nell'intento, diventa la peggiore nemica.'
Bhagavad - Gita VI. 5-6
...che "tradotto" nei termini del Buddha

Se la tua mente diverrà stabile come una roccia e non vacillerà più,
in questo mondo in cui tutto vacilla,
allora essa sarà il tuo migliore amico
e la sofferenza non ti attraverserà più la via.

Theragatha - parole degli anziani


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